Non ci sono molti modi per concludere un western: qualche volta si finisce col consueto ballo della forca e i cattivi già esanimi che continuano a ondeggiare neanche fossero un pendolo; più spesso, il protagonista ha davanti a sé la resa dei conti, un numero spropositato di nemici e un numero limitato, quello sì, di colpi nel caricatore del fucile. Vogliamo arrivare all’iperbole? Uno per ogni avversario, cosicché non possa permettersi neanche un errore. Se la sceneggiatura non è troppo coraggiosa e troppo simile alla vita reale, il nostro eroe – che ha sempre un qualcosa in più rispetto all’uomo comune – ce la farà, e uno dopo l’altro i nemici cadranno come birilli. Ma quest’Inter può davvero sperare di essere eroica?
Già, perché l’Inter ha undici gare, undici colpi nel caricatore, e non può sbagliarne neanche una. E il calendario, di per sé, non aiuta: fuori dal saloon c’è una Samp che deve rialzarsi, un Verona in lotta per la salvezza, e poi via con le trasferte non facili di Torino e Bergamo, e le tre sfide di grido con Milan, Juve e Lazio. Delle parole cui si è lasciato andare Spalletti dopo il pareggio col Napoli, si è giustamente dato molto risalto al brano in cui il tecnico nerazzurro ha di fatto rivendicato ai suoi un deficit di qualità importante nei confronti delle rivali, fatta salva la prudente marcia indietro del day after. Ben più in sordina, com’è comprensibile, è invece passata la parte sulle sfide restanti, che in qualche modo – dopo la mancata vittoria coi partenopei, dettata dalla scarsa qualità o, forse, dall’insufficiente coraggio – rappresentano tutte dei potenziali punti di non ritorno.
Si parlava, appunto, del calendario, e va detto che il calendario in sé costituisce un trappolone niente male per chi commenta, a ben guardare l’andamento stagionale dell’Inter. Con le grandi, e in generale con chi propone gioco, i nerazzurri trovano la quadra con serenità e rapidità inedite, se rapportate alle frequenti figure barbine che i ragazzi di Spalletti han rimediato con le piccole. Il calcio, però, non ammette la prova del nove, e spesso non torna nulla, anche dopo che imposti piani, pronostici, tabelle e previsioni che sembrano ragionate e infallibili. D’altra parte, questo rendimento capovolto rispetto a ciò che la normalità suggerirebbe è davvero causato dalla scarsa cifra tecnica della rosa, che sarebbe dunque incapace di impostare la gara per mere ragioni di qualità nel palleggio? O viceversa, non è forse la testa che è sostanzialmente inadatta a caricarsi su di sé il peso e l’onere di una gara da gestire in prima persona, che tanto l’avversario se ne starà lì dietro a studiare le contromosse?
Domanda oziosa, sembrerà. Nel caso si trattasse di un deficit tecnico, bisognerebbe ammettere che, paradossalmente, l’Inter può essere ottimista. Molte di queste 11 gare la vedranno infatti affrontare squadre orientate, per identità o per semplici esigenze di classifica, a cercare l’affondo sin dai primi minuti. Il consueto atteggiamento guardingo, sperando in una maggiore incisività di quegli esterni che Spalletti si è un po’ perso per strada, o che si son persi per strada nonostante Spalletti, può insomma far sì che l’Inter si avvicini al finale perfetto, e non sbagli neanche un colpo di quelli che le restano a disposizione. In qualche caso – e penso a quando al Meazza sarà di scena la Juve – il pareggio sarebbe già maestria pura, in altri casi non si può transigere oltre sui tre punti.
Il cielo, però, si annuvolerebbe non poco se il problema dei nerazzurri fosse piuttosto il frutto di una scarsa attitudine mentale alla costruzione di una partita che resti indipendente dalle mosse dell’avversario: il fatto che quest’approccio sia parte rilevante nell’identità di una grande squadra suggerisce, appunto, come quest’Inter grande non lo sia, soprattutto nella testa. In questo caso, manco a dirlo, saranno dolori: quando non si può sbagliare, quando c’è il dentro o fuori, chi non ha lì sotto sufficienti ‘risorse’ cui appigliarsi viene meno, rende male, infine crolla a terra sotto il peso della responsabilità.
Il protagonista del nostro western, se non avesse insomma il ghigno di Clint Eastwood ma lo sguardo perso e spaurito visto e rivisto sul volto di tanti nerazzurri, fallirebbe già al primo tentativo: la mano trema, la canna del fucile balla, il colpo sibila lontano dal bersaglio e i nemici, tutti insieme, lo accoppano. Visti gli ultimi anni, visto quest’anno, è così che dovrebbe finire, ahinoi. Eppure, l’Inter di domenica scorsa dà qualche buona ragione per sperare. Come nel nostro film, sarà già il primo duello, quello di Marassi, a dirci molto, se non tutto: se hai un colpo per avversario e sbagli il primo, poi puoi soltanto sperare nella magia. E di magia, nei western come in quest’Inter da anni malata, non v’è traccia alcuna.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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