The end. Anche l’ultimo obiettivo di una stagione straziante è stato spazzato via dall’evidenza. Troppo disastrata l’Inter attuale per giocarsela con una Roma in salute, a cui basta un buon secondo tempo per riscattare un primo da semi-spettatrice. Per 45 minuti i nerazzurri se la sono giocata a viso aperto e hanno illuso la tifoseria di potercela fare, di poter compiere quello che agli atti sarebbe stato ascritto sotto la voce ‘miracolo’. Niente da fare, le partite durano 90 minuti più recupero e questo gruppo non li ha nel serbatoio, sia dal punto di vista fisico sia, soprattutto, mentale. È stato sufficiente un errore per cambiare il volto del match: il gol del pareggio, nato da un’incursione centrale di Lamela e finalizzato dal liberissimo Destro, ha mandato in tilt i giocatori di Stramaccioni, ai quali non è parso più possibile riuscire per la seconda volta a fare breccia, quanto meno per guadagnarsi i supplementari. Il resto lo hanno fatto stanchezza e improvvisazione, quella mascherata benissimo nel primo tempo e palesatasi al primo accenno di superiorità avversaria.
NESSUNO AL SICURO - Amen, la Tim Cup rimane una questione capitolina e a 6 turni dal termine del campionato è già tempo di fare bilanci. A occuparsene deve essere, e sarà così, Massimo Moratti, il primo a rendersi conto che questa stagione va archiviata nel faldone dei disastri. Il progetto di rifondazione dell’Inter post-Triplete ha subito un brusco stop e probabilmente necessita di essere riavviato. Qualcosa da salvare c’è, in particolare nella rosa nerazzurra, ma molti cambiamenti dovranno essere apportati sotto tutti i punti di vista. Il presidente lo ha ammesso più di una volta, ci sono delle colpe e delle responsabilità che ognuno deve assumersi, anche se le decisioni finali spetteranno a lui come sempre. E nessuno può sentirsi al sicuro.
SENSO DI COLPA - Moratti sarà anche costretto a decidere il destino di Andrea Stramaccioni, giovane allenatore in rampa di lancio che lui stesso ha voluto sulla panchina dell’Inter, scommettendo sulle sue qualità ancora inesplorate. Lo ha lanciato in prima linea senza però dotarlo di dovuta protezione, a parte la sua che per il momento si mantiene viva. Ma dall’inizio della stagione molte cose sono cambiate ed è impensabile non considerarle. Strama mantiene un certo ottimismo, sa di avere migliaia di attenuanti che superano abbondantemente le sue responsabilità. Sa anche che Moratti tiene a lui e in parte si sente in colpa per averlo gettato nella mischia convinto di poter vincere una propria scommessa. Molti allenatori al suo posto avrebbero già fatto le valigie, alla luce dela quasi ventennale gestione morattiana, non il tecnico di San Giovanni.
BILANCIO GIA' SCRITTO - “Deve fare esperienza”, ha detto più volte il numero uno di Corso Vittorio Emanuele, difendendo la propria scelta nei momenti più delicati. “Qualunque allenatore merita di giocarsi le sue chance con una squadra al completo”, ha aggiunto ieri sera, sollevando in parte Stramaccioni da questa situazione drammatica. "In queste condizioni non posso valutarlo", ha precisato poche ore fa. Restano sei partite da disputare, appare però improbabile che il bilancio, per quanto ininfluente, possa migliorare. Troppe le assenze che perdureranno, troppo basso il livello del gruppo a disposizione attualmente, considerando anche il peso delle motivazioni destinato a diminuire settimana dopo settimana. Improbabile, pertanto, che sia il resto del campionato a decidere il destino di Strama, che di certo resterà al suo posto fino al 91esimo di Inter-Udinese, ultima giornata del torneo. E poi?
CONTROCORRENTE? - Nella testa di Moratti il dubbio è sempre pressante: dare continuità al lavoro dell’allenatore nonostante l’evidenza, sperando che l’esperienza accumulata possa fare la differenza dalla prossima stagione (magari proteggendolo con una struttura societaria migliore); oppure resettare anche la panchina nerazzurra, affidandosi a un allenatore più esperto, a uno dei nomi che circolano in queste settimane? Tra l’altro, nomi che non entusiasmano particolarmente il presidente, solitamente propenso a seguire l’istinto e spesso e volentieri pentitosi di aver dato retta ai propri collaboratori. Di certo confermare Stramaccioni sarebbe un gesto significativo anche in opposizione alla corrente di pensiero che vuole la testa del tecnico romano su un piatto d’argento. Significherebbe insistere su un’idea romantica che però non ha pagato, legittimare le attenuanti che hanno inficiato il lavoro del tecnico, andare controcorrente anche nei confronti di buona parte della tifoseria interista.
Ma in questo momento certezze non ce ne sono, probabilmente neanche nella testa del patron che dopo ieri sera può riflettere con davanti agli occhi il quadro completo. L’unica sicurezza è che l’idea di licenziare il ‘suo’ Stramaccioni non lo entusiasma minimamente, ma la ragion di stato impone anche decisioni sofferte per chi è ai vertici della scala gerarchica.
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