Sul treno che collega il Canton Vallese a Milano, Gianni Infantino è salito diverse volte. Prima come assistente, per dare una mano nella pulizia dei vagoni (è questo il modo grazie a cui riesce a sostenere le rette universitarie); poi da passeggero, spesso consapevole di dover proseguire il suo viaggio in metropolitana con destinazione San Siro. Il capoluogo lombardo l'ha praticamente cresciuto. Ha assistito, da tifoso, alle imprese dell'Inter dei record. E lunedì scorso, 23 settembre, il vertice della FIFA è tornato adolescente: nel pomeriggio, infatti, l'uomo diventato grande alle pendici del Cervino si è recato presso la nuova sede del club nerazzurro, per visitarla ed incontrare la nuova società. Con il presidente Steven Zhang vi è stato confronto costruttivo, senz'altro, ma anche molto sincero. In serata, Infantino è stato ospite d'onore del Teatro alla Scala. Non per una prima, bensì per la cerimonia del premio 'The Best FIFA Football Awards 2019'. Milano, anche in questo caso, recita il ruolo di capitale del mondo. Due giorni dopo, si apre il sipario alla Scala del Calcio: il Meazza (fin quando lo fanno campare) è capace di attrarre 56.000 spettatori sui propri spalti. L'Inter accoglie la Lazio, per il turno infrasettimanale. E la Beneamata, seppur di misura, riesce a vincere. Con tanta sofferenza.

Piacer figlio d'affanno: lo sforzo è propedeutico al raggiungimento del traguardo. Per tarpare le ali all'aquila biancoceleste è necessaria una fatica immane: i capitolini ripartono bene dal basso in fase di costruzione e riescono a verticalizzare servendosi di pochi tocchi. Caicedo e Correa i più vivaci negli ultimi metri: imprecisi, entrambi, ma con un ottimo senso della posizione e dello smarcamento. In bambola, a tratti, alcuni singoli. Ma quando hai una difesa del genere... Il discorso è semplice: un terzino buca l'intervento? C'è Godin pronto ad intervenire. Se incespica anche lui, dietro è pronto de Vrij. Ed eventualmente, anche Skriniar. Se gli ingranaggi della transizione negativa funzionano (e pare proprio di sì), per certi versi si può star tranquilli. Antonio Conte ha inevitabilmente giocato sull'aspetto psicologico: ogni singolo calciatore è consapevole delle proprie doti. Tant'è che Samir Handanovic, rispetto a poco tempo fa, è un'altra persona: sembra aver ritrovato quel balzo improvviso che lo fa schizzare come il più malizioso dei gatti verso la sfera. Lo sloveno, insieme ai tre difensori centrali, conta zero tatuaggi e tanta leadership. Atleti sani, professionisti esemplari. Gente che preferisce i fatti alle parole; la sostanza alla forma.

La prestazione di Stefan de Vrij, grande ex della sfida, è senz'ombra di dubbio da incorniciare. Il numero 6 incontra la squadra che ha salutato un anno e mezzo or sono e, con la maglia nerazzurra cucita addosso, non delude affatto. Confermando di essere in forma straordinaria: eleganza, visione di gioco, senso della posizione. Da olandese che si rispetti, è bravo a leggere l'azione con qualche secondo di preavviso rispetto allo svolgimento della stessa. L'anticipo che compie nel secondo tempo su Immobile è ai limiti della fantascienza. Pochi minuti più tardi, è sempre il centravanti dei biancocelesti ad essere irriso dal tulipano con una finta leziosa - ma suggestiva - palla al piede. Temperamento da leader. Sarebbe interessante vederlo seduto su una panchina tra una dozzina di anni: perché no, anche su quella dell'Internazionale. Avrebbe qualcosina da dire, e da insegnare, ad eventuali discepoli.

La heat map dell'incontro evidenzia il fatto che nell'arco della gara la squadra nerazzurra si sia schierata con un 3-4-1-2. "Vecino doveva alzarsi per pressare il loro regista", ha riferito Conte nel post-gara. Matteo Politano, per il susseguirsi di varie circostanze di gioco, è finito sempre per giocare qualche metro più in avanti rispetto a Romelu Lukaku, con il belga che si è abbassato spesso per ricevere la maggiore quantità possibile di palloni da gestire. Brozovic e Barella hanno di fatto costituito un centrocampo a due; molto abile, come al solito, la compagine meneghina nel gestire bene l'ampiezza, con i due esterni molto alti. Da una combinazione tra i due nasce la rete che sblocca e decide la sfida: Cristiano Biraghi (tornato in nerazzurro dopo 9 anni ed esordiente in campionato con questa maglia) crossa con il destro sul secondo palo, dove trova l'inserimento di Danilo D'Ambrosio che stacca e trova l'incornata giusta. Ingenuità del terzino biancoceleste Jony. L'Inter poi soffre: la Lazio mette a bacchetta i padroni di casa, che se la cavano nel primo tempo grazie ad Handanovic. Nella ripresa, invece, perfetta gestione dei momenti. È anche (e soprattutto) da questo che si valuta la solidità di una squadra.

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Sezione: Copertina / Data: Gio 26 settembre 2019 alle 18:28
Autore: Andrea Pontone / Twitter: @_AndreaPontone
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