Che fine ha fatto l’Inter? Nel calcio tutto è possibile, certo, ma farsi prendere a sberle da una squadra ultima in classifica che non segnava tre gol in una partita da quando sulla panchina dell’Inter c’era ancora Mazzarri - per una pretendente alla Champions League - è assurdo. Non tanto perché il Verona non sia un’ottima squadra, quanto per come si era messa la partita: avanti di una lunghezza, non esiste subire tre reti in fotocopia e abbandonare il campo in uno dei momenti più importanti della stagione. La rimonta non riduce la gravità di quanto accaduto: è evidente che l’assenza di un collante come Felipe Melo (oltre all’esperienza di Miranda, troppe volte sottovalutata) abbiano un peso devastante sulle sorti dell’Inter. Che ora, dopo sei mesi di sbornie, si ritrova a navigare a vista.
LEADER CERCASI - Gli errori di comunicazione nella difesa a zona sui calci piazzati hanno rasentato il ridicolo. Giocatori immobili, incapaci di contrastare un attacco che ha nelle punizioni e negli angoli pressoché l’unico sbocco offensivo della squadra. Si è sentita oltremodo la mancanza di un giocatore come Miranda che ha accentuato il bisogno della squadra di un giocatore che compatti le linee: in principio era Felipe Melo, ma ora lo stesso Melo è calato clamorosamente di colpi e la squadra si è sfaldata. Prendere tre gol in tre occasioni nel giro di una settimana è inaccettabile per una squadra che fondava le proprie fortuna sulla solidità difensiva. E non si può rimproverare agli uomini di Mancini un atteggiamento sbagliato: hanno attaccato per tutta la partita… Sono stati dei black-out totali, inspiegabili nel calcio professionistico. Ed è per questo che fa ancora più male non uscire con i tre punti dopo una partita del genere.
FATTORE P - E se i nerazzurri sono riusciti a raccimolare perlomeno un punto nella Fatal Verona, il merito è tutto di Perisic e Palacio. La Doppia P si è caricata sulle spalle una squadra che stava sprofondando e con giocate semplici ma efficaci ha dato un senso ad un pomeriggio nero. Il Trenza è tornato per un pomeriggio l’attaccante dominante di due anni fa: il suo modo di toccare la palla, abbinato ad una corsa ritrovata, hanno svoltato la partita dell’Inter insieme all’ingresso del croato e il conseguente cambio di modulo: dal 4-3-3 al 4-4-2, a specchio rispetto a Del Neri. L’ex Wolfsburg accelera sulla fascia e mette in crisi gli avversari, costretti a rincorrerlo spesso e a raddoppiarlo. C’è quindi spazio per Kondogbia, salito di colpi nella ripresa: quando non c’è mai niente da perdere, ecco che il francese si scrolla di dosso insicurezze e paura e spadroneggia a centrocampo. Così come tutta l'Inter. La linea a due vede Brozovic soffrire molto, mentre l’ex Monaco contrasta gli avversari e si porta a casa diversi palloni, riuscendo a giocarli in velocità o scaricandoli verso la porta di Gollini. Una sua violenta conclusione è stata respinta male dal portiere scaligero e - con un passo in più di Icardi - poteva essere l’assist involontario per il gol del 4-3. Gli va data continuità e la possibilità di sbagliare (come in occasione del primo gol subito, dove salta in ritardo). Ma Kondogbia c’è. Quel che manca all’Inter è la continuità di prestazione, oltre alla capacità di rimanere in partita per novanta minuti: domenica prossima, a Firenze, sarà già tempo di risposte. Perché in questo momento le avversarie non stanno rallentando di un centimetro e il treno per l’Europa che conta rischia di essere perso per il secondo anno di fila. Ma nessuno, per il momento, vuole pensare a questa eventualità. Il campionato è ancora lungo e c’è ancora tanto tempo per recuperare.
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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