(ANSA) - ROMA, 15 MAR - Il sindacato dei calciatori si rifiuta di prendere in considerazione la ripresa degli allenamenti dei suoi tesserati, supportato dalla posizione dei medici delle squadre di serie A. Alcuni dei presidenti, invece, continuano a premere per il ritorno alla preparazione fisica dei loro 'dipendenti'. A spiegare all'Ansa, al telefono, la situazione dal punto di vista del diritto è Giampiero Falasca, avvocato giuslavorista autore tra l'altro di un apprezzato manuale di diritto del lavoro. "La risposta alla diatriba la si trova nel dpcm del 9 marzo, dove si dice che gli allenamenti possono continuare, a patto che avvengano a porte chiuse e siano rispettate tutte le misure di prevenzione fissate per contenere il contagio. Pertanto, nella diatriba tra calciatori e società di calcio non si può dire a priori chi ha ragione e chi no: bisogna andare a vedere, caso per caso, come la società intende riprendere gli allenamenti. Per riprendere in sicurezza, ad esempio - prosegue Falasca - si potrebbe pensare di riorganizzare gli spazi comuni (spogliatoi docce), evitando ogni tipo di contatto ravvicinato tra gli atleti, così come si potrebbero evitare tutte quelle forme di allenamento che presuppongono il contatto fisico. Un ruolo importante nella gestione del rischio per gli atleti lo svolge il medico sociale, in quanto deve definire procedure e controllo idonei a contenere la diffusione del virus. La situazione ovviamente cambia se c'è un caso di contagio o comunque in fondato sospetto che qualcuno degli atleti sia stato a contatto con persone contagiate: in tale ipotesi, l'interruzione degli allenamenti è un gesto obbligato almeno fino al termine della quarantena, come hanno fatto, con grande buon senso, Juventus e Inter, seguite anche da altre squadre". (ANSA).

Sezione: News / Data: Dom 15 marzo 2020 alle 22:10 / Fonte: ANSA
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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