"Il pallone può e deve rotolare anche quando esplodono le bombe". Lo dice Mircea Lucescu, allenatore della Dinamo Kiev, intervistato dal Corriere dello Sport. ù
Lucescu, perché allenarsi e cercare di giocare amichevoli con la sua Dinamo Kiev in questo momento terribile per il popolo ucraino?
"Non lo facciamo solo per noi, ma soprattutto per gli ucraini che sono in patria. Lì non hanno più niente: niente lavoro, a volte niente cibo, riscaldamento ed elettricità; solo guerra e resistenza per ottenere la libertà. Nelle città sotto assedio dei russi c’è gente che muore o che soffre e il pallone può essere per loro un collegamento tra l’inferno che stanno vivendo e il ritorno alla normalità che speriamo avvenga prima possibile. C’è bisogno che il calcio non si fermi in Ucraina, che porti in giro il messaggio di un popolo che non si piega. Anche se il campionato è fermo e i playoff per i Mondiali distanti ancora due mesi. Vi ricordate la pandemia e i mesi più difficili, a marzo 2020?".
Certo che li ricordiamo.
"Come vi sentivate quando poi il campionato italiano è ripreso a giugno, anche se solo a porte chiuse? Le persone stavano davanti alla tv e, anche se i morti a causa del virus erano stati moltissimi, vedevano nella ripartenza dello sport uno spiraglio di ritorno alla normalità. Lo stesso facciamo noi e lo Shakhtar Donetsk: ci alleniamo e speriamo di giocare amichevoli importanti perché vogliamo che gli ucraini mantengano un legame con le loro squadre. Portiamo a giro per il mondo il dramma di un popolo che è stato attaccato, ma che non molla. Manca il cibo e c’è paura per le bombe che piovono dal cielo, ma il coinvolgimento emotivo che solo il calcio può dare è importante per chi lotta per la vita. Ora la normalità è un lontano ricordo, ma prima o poi l’orrore della guerra sparirà. Nel frattempo lo sport tiene unite le persone nei momenti più bui, crea un collegamento tra chi è fuori dall’Ucraina e chi è dentro a lottare per la libertà".
Cosa possono fare le squadre europee per aiutarvi?
"Giocare delle amichevoli con la mia Dinamo Kiev. La prima la disputeremo il 12 contro il Legia Varsavia, ma ne abbiamo altre 2-3 da confermare con la Dinamo Zagabria, la Steaua Bucarest e il Sion, il cui presidente è stato eccezionale fin dal primo momento. Spostarci non è un problema perché ci adattiamo ai voli low cost. Piuttosto ci aspettiamo l’aiuto delle grandi squadre europee. Non solo per tenere in allenamento questi ragazzi che, per la maggior parte, dovranno disputare insieme a quelli dello Shakhtar i playoff per i Mondiali. L’altro obiettivo è disputare partite a scopo umanitario, gare utili a reperire attraverso gli incassi e i diritti tv i fondi da devolvere ai bambini ucraini che soffrono per la guerra".
Ha chiamato Mourinho? Conoscendo lo Special One farà di tutto...
"Spero di parlarci e di organizzare un match a Roma. Giocare nelle grandi città è fondamentale per calamitare l’attenzione delle nazioni in cui andiamo. Ho ottenuto la disponibilità pure del Psg, che ci inviterà a Parigi magari dopo aver vinto matematicamente la Ligue 1, del Barcellona e di Guardiola che, quando sarà terminata la Premier, ci aspetta. Se avesse potuto, avrebbe organizzato domani, ma tra campionato e Champions, il City non ha un giorno libero".
Dove vi state allenando?
«A Snagov, vicino Bucarest. Io sono andato via da Kiev insieme al mio staff a fine febbraio, per cercare un posto dove far lavorare la squadra che nel frattempo, dal nostro centro sportivo a 25 chilometri dalla capitale, si era spostata a ovest, lontana dalle bombe che iniziavano a cadere. Ho girato tanti campi, ma logisticamente è stato tutto complicato perché c’era bisogno di spazio anche per le nostre giovanili. Per prima ho sistemato l’Under 19 che domani in Youth League sfiderà lo Sporting Lisbona: fondamentale è stato l’aiuto del presidente della Steaua che è stato il più disponibile di tutti. Poi ho individuato questo centro sportivo a Snagov che siamo riusciti a sistemare a tempo di record: cinquant’anni fa era usato dalla nazionale rumena, ma da allora non c’era più stata una formazione di calcio perché è stato adibito al canottaggio olimpico. La direttrice è una mia parente ed è stata brava a organizzare tutto creando le condizioni per accogliere una squadra di un certo livello come la nostra. Abbiamo dovuto mettere a posto il terreno di gioco e da venerdì scorso i miei giocatori sono qua, tutti meno i quattro stranieri che per due mesi sono andati in prestito in squadre europee e brasiliane. I ragazzi hanno portato con loro le mogli e i bambini, ma, se con la testa si sforzano di concentrarsi sul lavoro quotidiano e sulla vita che stanno facendo, con il cuore sono accanto ai loro parenti che hanno lasciato in patria. Ora abitano in appartamenti affittati qui vicino a Snagov e, pur tornando a cena la sera a casa, vivono una specie di ritiro. Anche loro però, prima che calciatori, sono esseri umani: sanno quello che sta soffrendo il popolo ucraino. Domani assisteranno alla gara della nostra Under 19 contro lo Sporting: se vincerà, sfiderà il Benfica, una grande d’Europa, un’occasione in più per mettere il calcio ucraino sotto la luce dei riflettori».
Nel 2022 avrebbe mai immaginato una guerra simile?
"Mai e poi mai. In Ucraina un po’ di preoccupazione c’era, ma un’invasione russa di questo tipo era impensabile. Vivo da 14 anni in Ucraina (con una parentesi allo Zenit e alla guida della nazionale turca, ndr) e sono legato a questo Paese dove conosco tante persone che sono rimaste nelle città bombardate. Io ho avuto la possibilità di andare all’estero grazie alla mia ambasciata e ho trovato un modo per aiutare la mia squadra, ma tanti ucraini sono rimasti lì. A combattere. Magari dopo aver portato la famiglia al confine, sono tornati indietro...".
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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