L'acuta riflessione del collega Paolo Condò sulla Gazzetta dello Sport prende le mosse dalle parole di Stefano Pioli nell'analisi del deprecabile ko di Beer Sheva. Il nuovo tecnico nerazzurro disse: "Squadra presuntuosa". Condò commenta: "Visto che la presunzione è il rischio che corre chi ha vinto molto, o comunque ha firmato prestazioni di tale livello da allentare il freno dell’umiltà, che cosa hanno fatto esattamente i giocatori dell’Inter per poterselo permettere? Il capitolo vittorie è povero: Joao Mario è campione d’Europa e Medel ha portato a casa due Copa America, ma per motivi diversi entrambi non erano a Beer Sheva. Di quanti hanno completato in Israele il peggior girone europeo nella storia del club, Banega ha vinto due Europa League, Miranda una Liga, Perisic una Bundesliga: disperse dentro a carriere ormai articolate, glorie così contate dovrebbero costituire nulla più di uno spuntino. I giocatori dell’Inter - del cui mediocre rendimento spesso ci meravigliamo al grido di «eppure ha le qualità del campione» - dovrebbero essere affamati, e questa condizione si dovrebbe scorgere a occhio nudo perché chi possiede il talento in genere ne reclama i frutti. Visto che non succede, e che in quattro mesi sono già stati bruciati due allenatori, è arrivato il momento di dire che in questi giocatori le qualità dei campioni non abbondano, ma scarseggiano. Perché il campione non limita il proprio apporto a un paio di palleggi, ma si spreme a furia di rincorse per aiutare il compagno in difficoltà. «Campione» è un abito mentale, prima che uno status tecnico. Un «campione» l’anno scorso era Miranda, perché a lungo il suo magistero permise a Murillo di raddoppiare il suo rendimento; ora che il brasiliano pare precocemente invecchiato, i limiti del colombiano balenano raggelanti. Avrebbe dovuto utilizzare il periodo di «protezione» per migliorare la base e aggiungere abilità. Avrebbe dovuto. La stessa contrizione che il capitano Icardi ha offerto a fine gara («Non abbiamo giocato da squadra, ora zitti e a lavorare») può andar bene in un’occasione, come le giustificazioni a scuola; ripetuta così di frequente diventa un’insopportabile liturgia, tipica di questi tempi insensati nei quali se ne fanno di tutti i colori pensando poi di cavarsela chiedendo scusa. Non è così. Il calcio è un’arena nella quale contano i fatti, e Milano ha sempre sorriso - qui sì comprensibilmente presuntuosa - di altre piazze nelle quali la singola partita valeva una stagione; i giocatori dell’Inter, invece, sembrano aver vissuto la vittoria sulla Juve come l’alfa e l’omega della loro annata. Non esiste atteggiamento più perdente, e ribadiamo la sottolineatura dedicata ai giocatori: sulle pecche di tecnici e società ci si è già espressi a sufficienza per non sospettare che chi va in campo le utilizzi come alibi. Ciò che si deve chiedere ai dirigenti ora è lo sfoltimento di una rosa che, così nutrita, è un impedimento al lavoro di Pioli (come già denunciò De Boer). Il resto deve farlo il tecnico, consapevole del fatto che - parafrasando la politica - la spazzatura che ha trovato dopo un mese diventerà sua. E soprattutto devono farlo i giocatori, chiarendosi fra loro su chi debba fare cosa, perché è da agosto che i palloni piovono in mezzo a facce convinte che tocchi intervenire a un altro.L’amor proprio è una componente prevalente sulla tattica. A parte 15’ dimenticabili col Bologna, nessuno ha avuto il coraggio di farci vedere Gabigol, che pure è stato pagato come un asso: un caso di allucinazione collettiva, oppure il brasiliano, oltre a non rispondere alle aspettative, non si sta sbattendo granché per comprendere le logiche del calcio europeo?".

Sezione: News / Data: Sab 26 novembre 2016 alle 11:08 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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