La prima immagine di papà Giacinto sui campi è legata ad Appiano Gentile. Casa Inter, insomma. "Ero piccolissimo, ricordo quelle tute nero azzurre attorno a me che correvano. Io li guardavo, mi sembravano tutti giganti. Erano gentili, si divertivano a farmi calciare un pallone. Sì, ero un bimbo tra i giganti, un bimbo in un mondo magico". Gianfelice Facchetti ha la stessa aria pulita di suo padre Giacinto, lo stesso tono sobrio ed elegante. Giacinto Facchetti: in una parola una leggenda del calcio nazionale e internazionale. Il primo terzino sinistro a difendere e ad attaccare. Il primo terzino sinistro a segnare come un bomber. E a conquistare il mondo con l'Inter. Giacinto se n'è andato qualche anno fa, prima che l'Inter di Massimo Moratti prendesse a vincere ovunque e a raffica. Come lui avrebbe fortemente voluto. Gianfelice, attore-regista di teatro, è uno dei figli, impegnato nel custodirne i valori e lo spirito. Con uno stile inconfondibile, quello di casa Facchetti.

LA TIMIDEZZA DEL CAMPIONE - "Papà - così apre il libro dei ricordi Gianfelice - aveva molto pudore a parlare di sè come giocatore. Non si è mai autocelebrato. Ha vinto tutto, eppure non stava lì a ricordarlo a nessuno. Tantomeno a noi. Sembrerà strano ma solo negli ultimi tempi, grazie a Roberto Boninsegna, con cui pranzava spesso, prese a parlarne. Sembrerà paradossale, ma io, suo figlio, in qualche modo ho recuperato tutta la sua storia sportiva da quando non c'è più.
Così ho scoperto quel papà così "normale" che vinceva le Coppe Intercontinentali ed era ammirato in tutto il mondo...".

NOTTE MAGICA COL LIVERPOOL - Ma di tante galoppate sulla fascia, di tante partite epocali, cosa era rimasto nella mente del capitano della Nazionale? "La partita di San Siro con il Liverpool, quella su tutti. Ne avevano prese di santa ragione in Inghilterra, 3 a 1 con cori di sfottò e quel when the saints go marching in che risuonava ancora nelle orecchie di tutti gli interisti. Papà mi raccontava che al ritorno fu tutto magico, che non aveva mai visto lo stadio milanese così carico, al punto da spingere letteralmente tutta la squadra alla clamorosa rimonta. Finì tre a zero per la Grande Inter e papà segno una grandissima rete. Così la canzoncina degli inglesi stavolta la cantammo noi, con qualche parolina cambiata...".

LA MONETINA EUROPEA - Con l'Italia, Giacinto ha raggiunto anche la finale mondiale del '70, il torneo di Italia-Germania 4 a 3. Tuttavia, dice Gianfelice, della sua lunga e ricca carriera azzurra, papà Giacinto amava ricordare un trionfo passato anche per la dea bendata. "La vittoria del campionato europeo a Roma, nel 1968, lo inorgogliva e lo divertiva anche per come era avvenuta. In semifinale, a Napoli, finì zero a zero con l'Urss, anche dopo i supplementari. Allora i rigori non venivano proprio contemplati. Così fu il lancio della monetina a decidere il finalista. Il sorteggio favorì l'Italia che poi affrontò due volte la Jugoslavia in finale, la prima finì uno pari, la seconda vincemmo per due a zero. Questo è il ricordo più azzurro di mio padre".

L'INTERCONTINENTALE E LE MINI-COPPE - Tra i successi di Facchetti, naturalmente, le due Intercontinentali. "Che tempi: figurarsi che il premio, mi raccontava papà, allora consisteva nel potersi tenere la maglietta con cui si era giocato e nella consegna di piccole riproduzioni del trofeo mondiale. Adesso sinceramente non so dove siano finite le due mini-Intercontinentali, devono essere da qualche parte. So che la riroduzione della prima Coppacampioni papà l'aveva data a sua sorella".

PICCOLETTI TERRIBILI - Tante gioie e soddisfazioni sui campi verdi, si perde nella notte dei tempi il ricordo di un Giacinto in difficoltà. "Beh, forte era forte ma c'era un certo tipo di giocatore che gli dava molto fastidio". Chi, Gianfelice? "Mi raccontò di avere sofferto le pene dell'inferno nel marcare quegli attaccanti, ali soprattutto, piccoli di statura e molto rapidi di gambe. Lui, così alto, faceva una gran fatica. Mi parlò in particolare di Giancarlo Danova, detto Pantera, del Milan, con cui poi divenne grande amico; e di Igor Cislenko, ala sinistra dell'Unione Sovietica. Con loro, ammise, non fu facile".

BONIMBA CHE AMICO - Ma chi era il compagno di squadra più vicino a Giacinto? Sorpresa, non proprio uno della Grande Inter anni Sessanta, ma comunque sempre un grandissimo nerazzurro come Roberto Boninsegna, il goleador dello scudetto del 1971 e della Coppacampioni persa l'anno successivo con il fortissimo Ajax di Cruijff. "Già, Bonimba, che amico per papà. Ce lo siamo ritrovati sempre vicino soprattutto nei momenti brutti, quelli della malattia. Sì, d'accordo, magari erano molto differenti come indole e carattere, ma si trovavano nei valori importanti. Nell'amicizia. Devo dire grazie a Roberto Boninsegna per il tempo che ha passato con noi, Bobo spronava il suo vecchio compagno di squadra a uscire dal suo riserbo, a ricordare. Quando doveva esserci, Bonimba c'era".

SARTI, BURGNICH, FACCHETTI - Nello scioglilingua che qualsiasi interista ha mandato a memoria, altri rapporti di amicizia. "Papà era legatissimo a Tarcisio Burgnich, suo compagno di squadra nella Grande Inter. E poi ad Aristide Guarneri, con cui si vedeva spesso. Personalmente, poi, mi ha davvero colpito Giuliano Sarti, l'ho incontrato solo nel 2008 e, ascoltandolo, mi sono reso conto di quanto fosse simile e vicino a mio padre".

I RAPPORTI CON MAZZOLA - Nei filmati di repertorio, un classico Inter è l'abbraccio tra Sandrino Mazzola e Giacinto Facchetti dopo le innumerevoli giocate vincenti confezionate dai due. Eppure, qualcosa, negli ultimi anni, si era rotto tra il Baffo e il terzino goleador. "Sì, c'era stato qualche screzio ed era calato un certo gelo, non ne conosco i motivi; però devo aggiungere una cosa importante - afferma Gianfelice - quando qualcuno in questi tempi balordi si è permesso di diffamare mio padre, il primo a intervenire con durezza per prendere le parti di chi non c'è più è stato proprio Mazzola. Un giorno, a una presentazione di un libro su mio padre, dove c'era poca gente e nessuna telecamera, intervenne Sandrino, di cui avevo sempre sentito parlare senza mai conoscerlo personalmente. Ebbene, disse cose splendide su papà. Poi gli parlai e, con grande umanità e umiltà, mi spiegò che sì, erano stati davvero molto amici ma poi qualcosa si era rotto. Aggiunse: "Ma forse, se questo è accaduto è perchè ho sbagliato qualcosa io, così come lui, insomma abbiamo sbagliato entrambi". E' bello sapere che, oggi, Mazzola difende sempre l'onore di papà".

CAMBIASSO E LA NUMERO 3 - E oggi, c'è ancora chi festeggia i nuovi trionfi interisti con il numero 3 sulle spalle: è Esteban Cambiasso. Un retroscena che Gianfelice racconta con piacere: "Quando l'Inter vinse il primo scudetto sul campo del Siena, Cambiasso mi telefonò: "Buonasera, sono Esteban, potrei avere una maglia di suo padre, vorrei indossarla e fare festa per il titolo che lui avrebbe voluto vedere e vivere, sa ho conosciuto Giacinto e mi sento molto legato a lui". Gliela diedi, ne abbiamo pochine ormai, di maglie. Il tempo passa, no? La indossò con orgoglio. Poi me la riportò lavata e stirata. Gli dissi: "Esteban, è tua, tienila". Poi ha indossato ancora la 3 nella notte di Madrid. Bello. Dei giocatori attuali lui e Ivan Ramiro Cordoba sono i più vicini a noi, assieme a Javier Zanetti".

I QUADERNI DEL MAGO - Difficile scegliere tra i mille aneddoti che Gianfelice ha ereditato da papà Giacinto. Irrununciabile quello su Helenio Herrera. "Papà aveva una devozione per il Mago. Fu lui a lanciarlo e soprattutto fu lui a difenderlo perchè, sì, pochi lo ricorderanno, ma all'inizio il pubblico di San Siro prese di mira quel terzino così alto che si spingeva così in avanti. Mago Helenio non fece una piega e lo tenne in campo. Coerente e coraggioso. I due si stimavano molto. Non è un caso se poi Herrera ha voluto che uno dei suoi celebri quaderni con gli appunti sulla Grande Inter finisse proprio al suo terzino. Ogni tanto sfoglio quelle pagine e ritrovo anche mio padre".

FIGURINE DI PAPA' - Gianfelice continua a "recuperare" la memoria di quel campione inimitabile e di quel padre così discreto rispetto ai suoi successi. Uno dei tanti modi è legato alle figurine. Spiega: "Mi piace trovare tutte le sue immagini sparse per il mondo. Raccogliere le figurine di ogni tipo sparse per le varie nazioni. Sono tantissime, non ci credereste. Foto di ogni tipo, caricature comprese. Rivedo papà Giacinto, rivedo tutte le sue espressioni. Lo rivedo giovane, forte e campione".

Sezione: FOCUS / Data: Gio 16 dicembre 2010 alle 01:14 / Fonte: Repubblica.it
Autore: Fabrizio Romano
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