In viaggio con Cristian Chivu: è il difensore romeno il protagonista dell'odierna puntata di Drive Inter su Inter Channel. Con Nagaja Beccalossi al suo fianco, Chivu debutta salutando in francese, per poi raccontare i suoi dieci anni in Italia. L'inizio è un po' acidino: "Si parla sempre delle solite cose, banali, non ci sono novità da raccontare, è un mondo finto..."; poi Chivu decide di stare al gioco: "Cosa faccio in giornata? Guido per andare ad Appiano, i chilometri sono tanti da fare ma per fortuna evitiamo il traffico. Poi ascolto tanto la radio, per la musica e le notizie e in tempo reale. La mia preferita è Radio 105, con Marco Galli (speaker dell'emittente, ndr) che è un grande tifoso interista".
Sulla sua storia da calciatore spiega: "Ho intrapreso questa carriera ma sono riuscito a completare il liceo in Romania, ad indirizzo sportivo. A 16 anni ho iniziato a giocare in Serie A, avevo scuola alla mattina e allenamento al pomeriggio prima di tornare a scuola. La maturità l'ho presa in ritiro, dopo l'esame ho proseguito il ritiro. E' stata molto importante la famiglia, l'educazione che mi è stata data. Poi ognuno ha dei valori e dei principi che ti guidano nella vita, insegnati dai miei genitori cui sono grato. Poi mi hanno aiutato nella mia vita professionale e non solo. Mio padre ci ha lasciati che avevo 18 anni, da lì ho imparato a gestirmi da solo nella vita. Certo, la mancanza sua si sente ancora, mi manca fare due chiacchiere e magari scontrarmi con lui, dicendogli quello che non ho mai potuto dirgli. Il classico rapporto padre-figlio. Poi anche lui era nel mondo del calcio, poteva aiutarmi un po' di più nelle incertezze che ho avuto in questi anni, e condividere successi e difficoltà".
Ma Chivu ha un vero rimpianto? "No, assolutamente... Poi, di sbagli ne ho fatti ma fanno parte della crescita, magari non sarei l'uomo di oggi se non li avessi fatti. Si parla poi delle soddisfazioni all'Inter, dove arrivò nel 2007: "Sapevo della forza di questo gruppo, per questo desideravo di venire qui. Non era il primo approccio tra me e l'Inter, già qualche contatto ci fu prima che andassi alla Roma, era la quarta volta che venivano a cercarmi e non potevo dire no. Giocando contro l'Inter ti accorgevi della forza di quella squadra. Poi il presidente è una persona stupenda, non avevo quindi bisogno di storie e di progetti, bastavano gli incroci del passato. E il tempo mi ha dato ragione...".
Quanto si sente cambiato Chivu in questi anni? "Parecchio: sono arrivato a 26 anni, ora ne ho 32, con una famiglia. Quell'estate ho conosciuto mia moglie Adelina e poi ci siamo sposati. Dopo l'incidente alla testa ho pensato anche di lasciare il calcio: lì cambia il modo di vivere la vita, ora ho anche qualche capello bianco in più... La vita cambia, umanamente ma anche professionalmente, perché sei in una grande squadra che ogni anno lotta per traguardi importanti e senti la pressione. Ogni giorno devi dimostrare il tuo valore, nessuno ha pazienza. E giocare a San Siro non è mai facile, e gli esempi di giocatori che hanno subito l'effetto ci sono. Se si può superare? Sì, ma bisogna avere carattere e attributi... La prima volta a San Siro è stata stupenda, i tifosi sono esigenti ma l'affetto c'è sempre stato. E San Siro pieno è speciale".
Come si gestisce l'eventuale difficoltà? "Non c'è una ricetta, bisogna impegnarsi per dare continuità nel lavoro. Poi bisogna sempre andare incontro alle proprie paure e debolezze. Io ho fatto così, più mi sento criticato più ho voglia di giocare. I giudizi cambiano di partita in partita, si sa... Ai tifosi non devo insegnare nulla, noi ci impegniamo in campo e lo facciamo sempre nei modi migliori. L'unica garanzia che diamo ai tifosi è quella: noi lavoriamo tanto".
L'Inter di quest'anno è un mix tra giovani ed esperti. Come ci si amalgama tra uomini? "Si può fare trasmettendo il proprio pensiero anche con l'impegno che ci metti in allenamento, ma tutti quelli che sono qui devono capire cosa rappresenta l'Inter, i sacrifici fatti sin qui, le vittorie ottenute, il cuore che abbiamo lasciato sempre in ogni partita. Chi arriva deve capire l'importanza del nome di una squadra che ha fatto storia". Sul rapporto con Andrea Stramaccioni spiega: "Mai avuto problemi. Io lavoro sempre, non mi lamento, non faccio capricci come mi è stato insegnato ai tempi dell'Ajax". Anche se l'allenatore che per lui è stato fondamentale è uno solo: "Mio padre. Giocava terzino sinistro, e fu lui a darmi l'esempio avendolo in casa. E' stato un giocatore normale, ha fatto le nazionali giovanili ma mai ha giocato nella maggiore. Io ho voluto subito far tacere chi mi accusava di essere un raccomandato. Oggi proseguo il mio cammino, e lavoro per essere all'altezza".
Si torna anche sulla scelta di salutare la Nazionale romena: "Fa un po' male, perché so i sacrifici che ho fatto per andare in Nazionale. Ma il fatto che mi hanno fatto del male mi ha dato da pensare; non è stata una scelta immediata, per anni ho pensato alle soddisfazioni che dava giocare per il mio Paese e superavo queste cose. Ma poi ho detto basta, ma non perché volevo dedicarmi solo all'Inter: era il momento che non ce la facevo più".
Chi è stato l'attaccante più difficile da marcare? "Ruud Van Nistelrooy, era qualcosa di speciale. Poi ognuno ha le sue caratteristiche e gioca ad un certo livello, poi se hanno bravi giocatori a dare loro una mano diventa difficile. In Italia potrei dire Zlatan Ibrahimovic quando era al Milan, ma penso anche a Osvaldo, Vucinic...". In conclusione, Chivu si schernisce sulle figlie: "Io maschi non riesco a farne, se riprovo a fare un altro bambino nasce femmina, lo so".
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