Queste possono essere le ore in cui l’Inter metterà nero su bianco l’accordo per Lazar Samardzic, grande talento di 21 anni in arrivo dall’Udinese. Grande operazione, di quelle che possono rendere tutti felici: arriva all’Inter un giocatore dal futuro luminoso ma dal presente altrettanto promettente, che sa inserirsi e fare male coi tiri alla distanza. Insomma, uno di quelli che a Simone Inzaghi piacciono, e anche tanto. Questi potrebbero essere finalmente i giorni in cui il Bayern Monaco si convincerà a sciogliere le riserve e a lasciar partire Yann Sommer, un arrivo atteso da così tanto tempo che quando si tratta di trattative di mercato in entrata in casa Inter anche il vetusto luogo comune della puntualità degli svizzeri finisce incredibilmente con l’andare a farsi benedire (anche se non per colpa sua, ovvio).
Ma lasciamo tranquillamente che questi discorsi, e le relative dispute da bar e da social dove è un’eterna gara a chi, detto in maniera triviale, ‘ce l’ha più lungo’ tra quelli che vantano i tanti acquisti fatti e quelli che invece sottolineano la qualità della strategia sulle operazioni in entrata, si concretizzino e si esauriscano nelle opportune sedi. Qui in questa sede non vogliamo parlare di ciò che può essere e che probabilmente sarà, ma vogliamo essere ancora più eterei e soffermarci su ciò che potrebbe in qualche modo essere, ma che una sorta di pessimismo cosmico dettato dall’esperienza e dalle tante, troppe parole spese negli anni ci porta anche a definire ciò che magari non sarà mai, figlio di tante buone intenzioni e di rendering fantasy che tali il più delle volte restano. Perché quello appena trascorso è stato il fine settimana dell’ennesima svolta verbale sul tema dello stadio nuovo dell’Inter.
Arriviamo da un fine settimana caratterizzata da una catena di notizie e comunicati che hanno segnato una nuova breccia nel fronte. Dapprima, la decisione da parte della FIGC di allearsi con la Turchia per l’organizzazione degli Europei del 2032. Abbiamo già parlato ieri della tematica, assolutamente non di secondo piano, della dubbia opportunità strategica di unire le proprie forze con quelle di un Paese come la Turchia, con tutto quello che rappresenta sul piano politico; qui basterà dire che questa scelta suona più come una soluzione di comodo, prima ancora che di strategia. Metà organizzazione vuol dire indubbiamente metà spese, metà gestione sul groppone, ma soprattutto metà delle infrastrutture necessarie per ospitare l’evento, che mentre in Turchia sono già belle e luccicanti da anni in diverse città, in Italia sono ancora quasi tutte da costruire. E chi può garantire che sia privo di fondatezza il dubbio che anche dopo tale decisione venga confermato l’impegno di mettere mano ad impianti che hanno una necessità fisica di rinnovamento quando non di rifondazione totale, visto e considerato che ci saranno meno stadi da mostrare al mondo?
Poi, nel tardo pomeriggio, la notizia che coglie di sorpresa tutti. “Bastogi e Brioschi hanno comunicato che Infrafin ha concesso a F.C. Internazionale un diritto di esclusiva fino al 30 aprile 2024, finalizzato a verificare la possibilità di realizzare uno stadio e alcune funzioni accessorie all’interno dell’area di proprietà in Comune di Rozzano”: questo il breve comunicato nel quale la società più antica quotata in Borsa offre attraverso una sua partecipata una concessione all’Inter per studiare approfonditamente un’area di loro proprietà e capire se può essere lì che può nascere la casa del Biscione. Ovviamente, è solo un’operazione preliminare di pura esplorazione, ma è comunque un segnale molto forte; acuito, oltretutto, da quanto fatto poco dopo dal Comune di Milano, che in una nota ufficiale ha spiegato che il destino dello stadio Giuseppe Meazza di San Siro è destinato a diventare oggetto di ‘vincolo culturale semplice’. Una formula bella dietro la quale però si nasconde una sentenza: l’abbattimento diventa strada impraticabile, viene meno la condizione necessaria per la realizzazione della ‘Cattedrale’, dove la carta sulla quale è stato posto il progetto è già ingiallita da un pezzo.
San Siro resta in piedi, quindi, a mo’ di monumento; ma con molta probabilità, come anche sottolineato con toni allarmistici da Palazzo Marino, non resteranno lì Inter e Milan. Che non potranno avere la loro nuova arena nella zona adiacente, che pare soffrire di una sorta di maledizione da quando nel 1985 crollò, anche e soprattutto per colpa dell’insipienza umana, il tetto del palazzone dello sport travolto da una nevicata memorabile, per dirla con gli Offlaga Disco Pax. E soprattutto ne hanno fin sopra i capelli del continuo giocare a rimpiattino degli alti papaveri che amministrano la ‘capitale industriale’ del Paese, in primis il sindaco Beppe Sala. Di fronte alla continua e snervante melina perpetrata negli anni dal primo cittadino, i due club hanno deciso di guardare altrove e di spostarsi verso la periferia della metropoli. Il Milan ha fatto un passo netto acquisendo la società proprietaria di un’area a San Donato Milanese, troncando in partenza buona parte delle difficoltà burocratiche potenziali. Ora si muove anche l’Inter, che ha poco meno di un anno per fare tutte le valutazioni del caso su un’area decisamente ampia, dove per ora primeggiano il verde (e forse anche le zanzare, vista la presenza di un canale), a poca distanza in linea d’aria dal Mediolanum Forum e dalla sua fermata della metropolitana, con una viabilità evidentemente da definire ex novo, impresa comunque non impossibile anche considerando l’avvicinarsi delle Olimpiadi invernali e dei progetti ad esse legati (in attesa di vedere nascere i primi cantieri importanti, intanto alcune soluzioni iniziali sono già andate a gambe all’aria come il vecchio palasport di Lampugnano e i costi sono già saliti di parecchio…).
Si è già parlato di uno stadio pronto nel 2028, ma visti i precedenti è meglio andarci molto, ma molto coi piedi di cambio. Di sicuro, lo stadio è un asset che serve molto, troppo, all’Inter come a tutto il sistema calcio, che troppi anni ha perso dietro manfrine e burocrazia di ogni sorta mentre nel resto d’Europa spuntano come funghi impianti clamorosi. E serve a Steven Zhang, come asso della manica ma mettere sul tavolo nel caso qualcuno arrivasse per mostrare interesse verso la sua società. Ma più sicuro di tutto è il fatto che l’intenzione di spostare l’asse dei propri interessi infrastrutturali palesata da Inter e Milan non può non rappresentare uno schiaffo per la città di Milano.
Si preferisce andare in città satellite vituperate per anni come Rozzano e San Donato Milanese e il solo proposito dà una luce nuova a queste due località, che sul piano sportivo possono riscoprirsi non più vassalle del grande centro metropolitano ma addirittura punti focali di due movimenti calcistici e sociali, riducendo Milano al ruolo di subalterna, custode solo del glorioso passato ma senza diritto di cittadinanza nel futuro. Danno incredibile per una città che nemmeno dieci anni fa faceva bella mostra di sé agli occhi del mondo con l’Expo ma che ora sembra frenata, attorcigliata su sé stessa e vittima più o meno consapevole dell’immobilismo di un sindaco e di una giunta ai quali la situazione della città sembra essere sfuggita di mano.
Si potrebbero fare tanti discorsi sul gorgo nel quale Milano tutta rischia di precipitare preda com’è di problemi urbani che non sono solo semplice percezione. Ma siamo in ambito sportivo e in tale rimarremo: ma anche qui, il sindaco decide di non decidere e la giunta accetta supina l’imposizione dai Beni Culturali del vincolo su un impianto che sente fin troppo il peso dell’età, che oltre al fascino monumentale ha poco da offrire ai suoi avventori. Vien da sorridere pensando a chi, offuscato essenzialmente dall’ideologia, esulta per la decisione o a chi vorrebbe spingere per l’ennesima ristrutturazione, ovviamente a carico dei club, senza pensare che le due società non hanno scritto ‘giocondo’ sulla fronte e buttare altri soldi per un impianto senza futuro, perché una singola finale di Champions o una cerimonia inaugurale di un’Olimpiade sono diverse da un impegno continuo per una stagione agonistica, non è proprio in cima alle loro idee. Senza contare che pensare ad un rinnovamento totale magari con copertura in stile Santiago Bernabeu, visti tempi, modi e costumi nazionali, è un’idea fascinosa ma che rasenta l’utopia.
Una situazione esasperante, che Inter e Milan fan bene a non sopportare più. Fa male al cuore, è vero, ma a un certo punto bisogna essere anche cinici e dire sì, forse è giusto che San Siro rimanga lì al suo posto e che vada incontro al suo destino: quello di una cattedrale nel deserto dal costo di dieci milioni l’anno per le casse comunali, impiegato poche volte in 365 giorni e a rischio abbandono come l’adiacente area del trotto peraltro anch’essa sotto l’egida del vincolo. Simbolo di una Milano città che rischia di salvare ben poco del ruolo di riferimento nel mondo del calcio europeo, rischiando persino la stessa vocazione. Perché già ora può essere un attimo che qualche buontempone cominci a cantare pensando allo stadio nuovo: “Rozzano siamo noi” o “Salutiamo l’A.C. San Donato”.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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