La nascita della Super League ha portato allo scoppio di una Super Guerra economica che sta agitando il mondo del calcio. Da una una parte i 12 club fondatori (che ora dopo ora sono sempre meno) più ricchi e potenti d'Europa che hanno l'innegabile colpa di essersi indebitate più del dovuto; dall’altra i poveri ipocriti di FIFA e UEFA che hanno tante responsabilità tecniche ed ora amano auto-eleggersi paladini della giustizia e dell’equilibrio sportivo solo per tenere a galla una barca che affonda in mezzo al mare in tempesta.
In questa brutta storia che si trascina da anni non c'è nessuno che non abbia sbagliato, semplicemente perché gira tutto solo intorno al soldo. Da sempre. Questo è chiaro, e non viene neanche nascosto dai diretti interessati al nuovo progetto, come si leggeva nei vari comunicati, e come ribadito nelle ultime ore anche dal numero uno del Real Madrid e del nuovo organo nascente, Florentino Perez.
Oltretutto, per diritto di cronaca, va specificato che in origine l’intenzione dei fondatori era di affiancare la Super League alla Champions League e non di sostituirla, di continuare a disputare i campionati nazionali, di provare a rilanciare l’economia di tutto il settore con la ridistribuzione dei proventi e di lasciare i posti di merito (previsti solo 5, sicuramente pochi) a cui possono ambire anche gli altri club che entrerebbero così in competizione tra di loro non solo a livello nazionale, ma anche continentale: "Quei soldi vanno a tutti. Come in una piramide, se quelli sopra hanno soldi, questi arrivano a quelli che stanno sotto. I 15 club sono sono quelli che generano valore e altri cinque arriveranno per meriti sportivi. Non è un torneo chiuso, non abbiamo mai pensato a questa soluzione. Crediamo nei meriti sportivi. Se generiamo queste cifre è per salvare il calcio in generale", il concetto espresso dal presidente dei Blancos.
Nel contesto attuale si tratta di un atto rivoluzionario, utile se non altro per dare un segnale (qualora le parti in causa si dovessero sedere al tavolo per trattare e trovare un punto d'incontro, specie dopo i vari dietrofront delle ultime ore) e rifondare un mondo del pallone monopolizzato dalla UEFA. Un processo che era nell’aria da anni e che è stato semplicemente accelerato dalla crisi economica generata da quella pandemia che, ad esempio, non è riuscita a bloccare l'ingresso del pubblico allo stadio nelle competizioni europee neanche durante lo scoppio del virus. Tutto per gli interessi economici della UEFA, che ora si sente in dovere di fare la voce grossa appellandosi ai sogni dei tifosi, ai meriti sportivi e ad altri comodi discorsi populisti ma che, per chi non ha le bende agli occhi, è la prima responsabile di un divario tra club ricchi e club poveri e di un calcio diventato puro business che ormai esiste da tempo e di cui stranamente - e tristemente - ci si accorge solo oggi che la bomba è scoppiata: dalla gestione del FFP che ha tagliato le gambe a certe società e ne ha risparmiato inspiegabilmente altre (tra le quali il Psg dell'oppositore Nasser Al-Khelaifi) fino al Ranking che non riserva posti nella tanto paritaria Champions League ad alcuni Paesi europei. Dove sono l’uguaglianza e il merito sportivo? E dove sono i pari diritti tra le ‘grandi’ e le ‘piccole’? Non ci sono più, sono spariti da tempo. Anche per colpa dei nuovi format e delle nuove competizioni che negli anni si sono succedute in nome del progresso e del Dio Denaro: e allora ecco che la Coppa Campioni diventa Champions League, che la Coppa Uefa si trasforma in Europa League, che l’Intercontinentale lascia il posto al Mondiale per Club e che altre competizioni minori come l’Intertoto spariscono definitivamente dall’Albo d’Oro delle società.
Nel frattempo, però, spuntano come funghi nuove competizioni per le Nazionali dalla discutibile utilità che intasano i calendari anche in piena pandemia - vedi la moderna Nations League - creando anche un danno ai club che, ricordiamo, sono i soggetti che stipendiano i giocatori (e in maniera gonfiata). Negli anni il palazzo di Nyon ha modellato a suo piacimento le competizioni, ufficializzando tra l’altro una Super Champions che non ha convinto i famosi 12 club anche perché verrebbe alla luce solo nel lontano 2024, quando tutte le società in questione - e di conseguenza quelle al di sotto di loro - saranno già alla canna del gas in un sistema sbagliato ed ora al collasso. E che per questo va rivisito, con o senza Super League.
Non si salva dal finto moralismo neanche la FIFA, alleata della UEFA in questa triste battaglia contro l’élite del calcio europeo. La tanto amata tradizione e i valori sociali sbandierati svaniscono nel nulla se si pensa al Mondiale 2022 organizzato in Qatar nei mesi di novembre e dicembre, tra l'altro finendo sotto accusa per le violazioni dei diritti umani sui lavoratori impegnati nella costruzione degli stadi. E il motivo della decisione è lo stesso che ha spinto al parto della Super League: soldi, perché gira sempre tutto intorno a loro. Come quando le Federazioni nazionali si indignano e si schierano dalla parte dei tifosi (solo adesso che il giocattolo si sta rompendo) perché “il calcio è di tutti”, ma non se la Supercoppa Italiana di turno si gioca alle 17.45 in Arabia Saudita, lontano da quei fan che per vedere tutte le partite stagionali della loro squadra del cuore sono obbligati a prendere un aereo per Riyad o a pagare più abbonamenti televisivi. Ma continuiamo a sentire la cantilena che “il calcio è di tutti”. Sì, come no.
Il progetto della Super League può piacere o non piacere, può avere successo o fallire, può essere rivisto, allargato e perfezionato o può non entrare mai in atto. Ma i ricchi prepotenti a comando dei club, la UEFA, la FIFA e tutti gli individui in prima linea in questa Super Guerra economica sono gli ultimi della lista che possono esaltare i concetti di sport, equilibrio e meritocrazia, schierandosi a convenienza dalla parte dei tifosi. Mentre avrebbero tanto da raccontare sul tema della falsità, dell’opportunismo e dell’ipocrisia.
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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