"Siamo l'Inter e non possiamo buttare via la palla". Il commento a caldo di Mancini non è che l'eco degli ordini dettati ai suoi prima e durante il match. Parole spese a vuoto in campo, perché l'Inter che si ritrova in mano oggi non è l'Inter di dieci anni fa. Dei vari Veron, Dacourt, l'amico Deki, Cambiasso e Vieira sono rimaste solo le foto sulla mensola accanto ai primi trofei che hanno aperto il ciclo di vittorie nerazzurro. Il motore diesel di una squadra che amava costruire, avvolgere e travolgere in un lampo l'avversario, sempre pronta a cambiare marcia con i suoi orchestratori, ha dovuto lentamente spegnersi tra le macerie del post-Triplete. Thiago Motta, l'ultimo dei moderni mediani, ha preso la rotta di Parigi sapendo di avere le ore, o meglio i mesi contati a Milano. Strade separate a gennaio anziché a giugno come voleva la società, poi è stata la volta del Cuchu, informato solo all'ultimo da Ausilio della necessità di un divorzio fra i più amari della storia recente del club.

I limiti evidenziati dallo 0-0 contro l'Empoli non sono atletici né tattici, bensì strutturali. Manca l'ossigeno in fase di ripartenza, l'apporto di idee che riusciva a fornire anche un professore alla Cambiasso e non uno scolaretto indisciplinato come Guarin. Sia chiaro, il colombiano con Mancini ha dato segnali di miglioramento anche in copertura, ma è ancora poco adatto ad un ruolo in cui occorre pensare a testa alta. E il tempo dei provini per Fredy e per il Mancio prima o poi finirà. Ecco perché il tecnico vuole subito il tassello perduto nella rosa che era stata forgiata per Mazzarri. Alle geometrie del classico centrocampista cerebrale WM ha sempre preferito grinta e morsi da pitbull, come dimostrano gli arrivi di Medel e M'Vila. Marchio di fabbrica del suo Napoli, ma a San Siro forza e aggressività fanno tassativamente rima con qualità. E se questa è assente sono obbligate a crollare anche le aspirazioni di chi rivorrebbe l'Inter fra le grandi, in grado di imporsi perché nuovamente padrona del proprio gioco, in casa come in trasferta.

Leggasi 'regista/interditore' fra le voci nella lista della spesa di Thohir rimaste senza alcuna barra. Mentre l'Atletico alza il muro per Mario Suarez, protagonista rinato nelle ultime due uscite da titolare con i Colchoneros, il derby di Copa col Real e il successo in Liga sul Granada, a Liverpool Rodgers riscopre Lucas Leiva e tiene distanti le sirene nerazzurre. Nel frattempo Mancini è costretto a studiare soluzioni alternative per la mediana (vedremo lì anche Kovacic?) con l'intento di inculcare la sua idea di gioco alla squadra. E in attesa di novità dal Calderon e da Anfield rimane in stand-by anche la pista Lassana Diarra, che a giorni risolverà il contenzioso con il Lokomotiv Mosca ma che fisicamente non è pronto, e forse la più suggestiva anche se meno concreta, quella che porterebbe al retour di Thiago Motta. Anni 32 all'anagrafe ma ancora tanta voglia di rimettersi in gioco e sentirsi determinante dopo i contrasti al PSG con Blanc, l'italo-brasiliano ha lasciato ottimi ricordi al Meazza e rientrerebbe volentieri per risolvere i problemi del Mancio.

D'altra parte però, né i piani del club francese che non vuole perdite a gennaio, né quelli dei vertici interisti che difficilmente investirebbero su un over-30 lasciano lo spiraglio aperto ad un ricongiungimento. Ma a meno di due settimane dalla chiusura del mercato la società nerazzurra è costretta a muoversi in fretta per riprendersi il cervello in mezzo al campo che a San Siro manca da troppo tempo e che oggi occorre più che mai. Per risalire e puntare in alto, ripartendo dalla propria trequarti come chiede Mancini e da quell'ottavo posto da cui oggi l'Inter guarda alle contendenti per l'Europa. Con l'augurio che in futuro anche certe scelte di mercato vengano vagliate con intelligenza e maggiore scrupolo.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 20 gennaio 2015 alle 00:01
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
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