"Per me è stato il trofeo più importante in carriera". Zé Elias comincia così il suo viaggio tra i ricordi della carriera, dalla Coppa Uefa 1998. "La priorità a inizio stagione era il campionato, la squadra era costruita per quello - dice l'ex centrocampista nerazzurro a Planet Football - Nelle gare contro Neuchatel e Strasbourg c'erano le seconde linee. Solo quando si è realizzato che si poteva vincere Simoni ha messo i titolari. Io invece a inizio anno non ero nemmeno nelle riserve, guardavo le partite dalla tribuna. Ho continuato ad allenarmi e proprio contro il Neuchatel ho giocato la prima gara. Da lì ho avuto sempre più possiiblità. Il percorso in Europa è stato fantastico perché abbiamo dovuto ribaltare alcuni risultati negativi, contro il Lione abbiamo rimontato in Francia, contro lo Strasburgo la stessa cosa. Contro lo Schalke è stata una guerra tra me e Wimots, pugni e calci. Non c'erano tante telecamere allora, il gioco era più intenso".

Il tutto in un'annata nella quale il calcio italiano annoverava campioni su campioni. "C'erano Bergomi, Zanetti, Simeone, Djorkaeff, Ronaldo e Zamorano. Al Milan avevano Costacurta, Maldini, Albertini, Boban, Weah, Savicevic. la Juventus con Del Piero, Conte, Di Livio, Zidane. Leggende, solo leggende. Il campionato era durissimo - continua il brasiliano - La battaglia più dura è stata con Edgar Davids, orribile. Cercava sempre di farti male". 

Poi la finale di Parigi. "Ero in camera con Ronaldo e prima della finale scelsero due giocatori per parte per parlare con la stampa. Dalla Lazio Nesta e Mancini, dissero che meritavano loro di vincere perché erano arrivati in finale senza perdere. Ronaldo era lì e disse: 'Domani li farò fare una figura di m...a', usando proprio l'espressione italiana. Sono andati a chiedere cose aveva fatto e mi ha detto: 'Loro parlano troppo'. Il giorno dopo vincemmo 3-0, Ronaldo fece una grande partita e qualche tunnel. Mancini andò da lui durante la partita e Ronaldo gli rispose: 'Non adesso, aspetta. Se vuoi l'autografo te lo faccio a fine partita'. 

Di quella squadra faceva parte anche Diego Simeone. "Sapevamo sarebbe divenuto un allenatore. Non avevi nemmeno bisogno di giocare con lui, era sufficiente vivergli accanto. Vedeva calcio dalle 6 del mattino fino a mezzanotte, dormiva fino alle 6 e si rialzava per vedere calcio di nuovo. Andavi in campo e lui sapeva già come avrebbero giocato gli avversari. Cinque minuti dopo l'inizio della partita cambiava modo di giocare e ti diceva come cambiare tu".

Zè Elias parla anche delle differenze con il calcio attuale. "Oggi girano tanti soldi e i giovani crescono senza difficoltà. Sono educati in situazioni di comodo, non crescono in leadership. Non hai bisogno di lottare per nulla se hai già tutto. Io a 12 non avevo i soldi per giocare. A 15 sono passato dal futsal con il Corinthians alla General Motors, che era la squadra migliore del Paese, quindi avevo abbastanza soldi almeno per il bus, i vestiti per giocare e qualcosa da mangiare in settimana".

Grandi ricordi riguardano anche i derby, anche se l'atmosfera, secondo il brasiliano, non è quella che si vive altrove: "Quando sono arrivato a Milano c'era grande attesa. I giocatori italiani non dormivano dalla paura il giorno prima. Siamo arrivato a San Siro ed era una partita normale. Ho chiesto a un mio compagno: ' Questo è il derby?'. 'Sì guarda quanti tifosi'. Ma era tutto lì. Ad Atene, invece, è una cosa da pazzi. Se vinci devi rimanere chiuso per quattro ore nello spogliatoio perché i tifosi avversari ti aspettano per ammazzarti. Nemmeno Corinthians-Palmeiras arriva a tanto". 

La chiusura dell'intervista riguarda ancora l'esperienza italiana: "Quando torno in Italia i tifosi mi ricordano sempre la Coppa Uefa e un'altra cosa: quando abbiamo giocato contro il Manchester United nei quarti di Champions del '99 ho fallito una grande opportunità negli ultimi minuti. Se lo ricordano ancora".

VIDEO - ZAMORANO-ZANETTI-RONALDO, L'INDIMENTICABILE TRIONFO A PARIGI DEL 1998

Sezione: News / Data: Mar 07 maggio 2019 alle 12:28
Autore: Mattia Todisco
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