Tre anni. Sono tre anni che la storia si ripete, senza soluzione di continuità. Buona prima parte di stagione, qualche piccola illusione e poi, puntuale come le tasse, arriva la frenata. Secca. Dopo Ranieri/Stramaccioni e Stramaccioni, con Mazzarri si proverà almeno a non andare alla deriva. Ma la china di questo inizio di 2014 ha fornito presagi nefasti: un solo gol fatto tra campionato e Tim Cup che ha fruttato appena due punticini al Meazza (pari con Chievo e Catania) e tre sconfitte esterne (Lazio, Udinese e Genoa).

Se errare è umano, perseverare è diabolico: questo deve evitare l'Inter negli ultimi giorni di mercato. Tutto nacque dalla cessione sconclusionata di Thiago Motta al Psg. Quell'Inter andava a mille: magari non avrebbe lottato per lo scudetto, ma certamente non avrebbe fatto la fine che ha poi fatto con il malcapitato Ranieri in panchina. L'anno dopo, idem: Strama balbetta all'alba della stagione, poi trova la quadratura e corre spedito fino a dicembre. Ma un mercato sgraziato, sottolineato impietosamente dalla lunga sequela di infortuni, manda i nerazzurri allo sbaraglio. Ora riecco il film già visto. Mazzarri fa quello che può con quello che ha. Senza Milito, senza Icardi e, in generale, senza un mercato estivo su misura (Campagnaro, Andreolli e compagnia erano tutti già sotto contratto prima del suo arrivo), il tecnico di San Vincenzo illude che il suo apporto possa portare al di là dei propri limiti una rosa che vale quello che la classifica dice oggi. Ci riesce fino a un certo punto, poi crolla sotto il peso di un lavoro immane.

E dalla dirigenza non arrivano aiuti, anzi. A un organico già non eccelso, in gennaio vengono sottratti anche rincalzi come Mudingayi, Wallace, Belfodil, Pereira e Olsen: tutta gente in lista partenze e che Mazzarri è costretto a non poter portare nemmeno in panchina. Al contempo, non arriva nessuno. Ma proprio zero. A ciò si aggiunge lo show del mancato scambio Guarin-Vucinic, che – al di là delle conseguenze ambientali – priva l'allenatore di due pedine in un colpo solo: il montenegrino non arriva e il colombiano diventa inutilizzabile per ovvi motivi. Risultato? Sconfitta a Genova (Guarin era già sicuro di partire, tant'è che al posto di Alvarez infortunato entra Kovacic nonostante il campo pesantissimo) e pareggio surreale contro un Catania che fino a domenica aveva fatto zero punti in trasferta.

Le colpe? Sono di tutti. Dei giocatori, spesso inadatti sia per congeniti difetti tecnici, sia per mancanza di personalità; del tecnico, a cui forse si chiedeva uno sforzo superiore per ovviare alle contingenze negative a livello economico e ambientale; dei tifosi, che avrebbero potuto accompagnare con maggior sforzo una squadra in chiara difficoltà; della classe arbitrale, che sovente ha affossato con errori marchiani le velleità nerazzurre. Ma, soprattutto, le colpe sono della dirigenza. Eh già, perché se cambia tutto e non cambia niente, forse il problema è alla radice. Come detto, questo è il terzo anno in cui la storia si ripete e, al netto delle motivazioni peculiari, è evidente che più d'un errore è stato commesso.

Adesso niente alibi, solo lavoro. Va ricordato a Mazzarri, va ricordato a Thohir. Da lui, dal nuovo presidente, ci si aspetta sì calore da tifoso appassionato, ma soprattutto razionalità e chiarezza. Il bonus-Triplete è finito, ora serve ripartire. Da zero? Finanche da meno uno, l'importante è che si tracci la strada e la si percorra senza indugio. Si lasci al tifoso l'emotività del momento: la nuova dirigenza avrà l'onere e l'onore di riportare il nerazzurro ai vertici del calcio, prima italiano e poi europeo. Questa è una grande occasione che si prospetta a Thohir, che non deve sciuparla. Tutti insieme – dirigenza, settore tecnico, squadra e tifosi – devono avere chiaro l'obiettivo. Così da trasformare le colpe di tutti nei meriti di tutti.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 28 gennaio 2014 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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