La distanza tra un evento e la contemporaneità non sempre è dettata da uno scandaglio di ore costantemente invariato. La percezione che si ha del tempo sa spesso essere il tempo stesso. Infinite ore, quelle a scuola in attesa della campanella. Infinitamente sfuggente il mese di luglio dopo il quarto anno di liceo. E quasi sempre si finisce intrappolati in un paradossale e irrazionale continuo barcamenarsi tra uno "spero rallenti" e un "ma quanto manca?". Ne capiranno la sensazione i tifosi dell'Inter, intrappolati nella ragnatela di un tempo tiranno che talvolta sembra sfuggire di mano, talvolta si dilata a dismisura. Dal sogno Dybala e dal misterioso 'mi piace' di Bremer, ad un passo dalla firma con la Beneamata, sembra già passata un'intera epoca e del 'Joyoso' entusiasmo che aleggiava attorno al mercato dell'Inter, fino a una settimana fa promosso dai più, sembra essere rimasto il ricordo e niente più.
Un grido rimasto strozzato negli intenti, speranze e desideri quel "Marotta, portaci Dybala". Un colpo che il buon Beppe da Varese non è riuscito a tirare fuori dal cilindro, proprio sul più bello a platea trepidante d'attesa, rimasta a bocca asciutta a spettacolo inoltrato. Dybala ha aspettato, buono buono e ben rannicchiato all'interno di quel cilindro dal quale, in attesa del via libera di Nanchino mai arrivato, si è ritrovato a fuggire di soppiatto. Il sì di Zhang tardava ancora ad arrivare e il diktat del 'deve prima uscire qualcuno' è diventato sempre più stretto al passare delle settimane, finito a mostrarsi asfissiante e invalidante quando l'incoming call portava il nome di José Mourinho. La scelta di Paulo di sposare il progetto Roma non può di sicuro essere attribuita esclusivamente a pazienza venuta meno, e a giocare un ruolo fondamentale nel sì dell'argentino lo hanno certamente giocato retorica e carisma del portoghese che, fiutata l'opportunità concreta, ha immediatamente preso le redini della partita. Pressing sul quale si è piacevolmente adagiato l'ex Juve con buona pace di chi in quel di Milano sognava la 'Dybala mask' sotto la Curva Nord. Scelta difficilmente contestabile all'atleta e altrettanto faticosamente giudicabile quella dell'Inter, almeno secondo la versione di Marotta.
"Se n'è parlato tanto, io posso solo dire che è un ragazzo serio e un bel professionista. Noi, e l'ho detto in tempi non sospetti, siamo a posto in un settore offensivo di grande valore. Non c'era spazio non perché non fosse bravo, ma perché non c'era la necessità: tutto, come sempre, è stato strumentalizzato. Si rischia quasi di fare brutta figura, ma non è così perché l'Inter, ripeto, ha un reparto offensivo di grande valore e ce lo teniamo stretto". Nessuna bugia bianca quanto pronunciato dall'ad nerazzurro a DAZN, dove ha chiuso una volta per tutte il discorso legato alla Joya, tanto desiderata in primis dal dirigente varesino ma non al punto da spingerlo a giocare carte false, ipse dixit, ipse docet.
Ma tant'è. E che ci si voglia credere o meno alla versione di chiarimento marottiana, campo canta: se c'era (e c'è tuttora) un'impellente necessità d'intervento nella rosa di Inzaghi, quell'urgenza non riguarda il reparto offensivo. Non c'è ma c'era e a cambiare le gerarchie delle priorità è stato quel Lukaku tanto amato e odiato al contempo. Il più amati degli uomini scudetto, il più odiato dei traditori poco dopo, tornato all'ovile dopo solo un anno con lo stesso pentimento di un figlio che abbandona il focolare sempre caro, caloroso e mai scortese. C'è chi storce il naso, imputando alla dirigenza di aver 'preferito puntare su chi le spalle le ha già voltate una volta piuttosto che su un Dybala carico di voglia di riscatto" imbastendo un'operazione neanche così economicamente vantaggiosa. Una titubanza di giudizio comprensibilmente accettabile che si infrange però con discorsi tattici che l'arte della finalizzazione del belga concilia con una convinzione superiore dell'argentino e che al netto dei ragionamenti dà probabilmente ragione alla dirigenza di Viale della Liberazione. E fin qui tutto bene. O quasi.
Il risveglio del lunedì scorso con tanto di "Dybala-Roma è fatta, sì arrivato durante la notte" come preludio di settimana da dimenticare era solo l'inizio di una settimana difficile da affrontare, dura da digerire. L'irreprensibile peggioramento dell'umore dei tifosi nerazzurri è arrivato immediatamente dopo. A qualche ora dal "buongiorNO" arriva il colpo di grazia o di disgrazia. Colpo di nome e di fatto sottoscritto da Arrivabene: sorpasso della Juventus sull'Inter per Bremer e affondo finale concretizzatosi il giorno seguente. Un'agonia alla quale ogni interista è stato sottoposto, durata poco più di ventiquattro infinite ore che a viverle sembravano frutto di un cattivo scherzo del destino che azzerava il livello di entusiasmo che le prime settimane di luglio avevano generato.
E via con isteria e disfattismo iniziati a scemare solo qualche giorno dopo, a nervosismo diradato e lucidità poco poco ritrovata. A tempesta d'emozioni passata e raziocinio lentamente riacquistato, "il calcio continua anche senza Bremer" è la prima forma di guarigione comparsa nell'elaborazione di un lutto che ha trovato accelerazione dopo i rumors che davano Milan Skriniar fuori dal mercato. Ma la speranza è, alla luce delle vicissitudini dell'ultima settimana, la prima a morire. A rassicurare questa volta non sono sufficienti neppure le dichiarazioni di Marotta che in merito allo slovacco si mostra sereno senza però riuscire a trasmettere la stessa serenità a chi lo ascolta: "Da una parte, noi abbiamo l'obbligo di fare una squadra competitiva, ma dall'altra abbiamo il dovere di guardare l'equilibrio economico-finanziario. Skriniar è un giocatore fortissimo, assolutamente, non deve essere necessariamente messo sul mercato, assolutamente no. Abbiamo avuto dei contatti nelle settimane precedenti (col PSG, ndr), quindi una richiesta, dopodiché tutto sarà valutato". Ancora una volta una valutazione che spaventa proprio nel nome di quella competitività promessa, con l'aggravante condizionamento di un passionale e coinvolgente sentimento che lo stesso Marotta sbandiera con orgoglio a proposito dei tifosi ma che proprio con giocatori come Skriniar avrebbe un tacito obbligo di preservare.
"Questa passione, un fatto importante nel tifoso nerazzurro" per l'appunto. Passione che mai nessun interista ametterà in dubbio ma dannatamente soggetta a continui traumatici scossoni che il mercato e 'il rosso' in banca impongono. All'infinita e indicibile pesantezza e lentezza del ticchettio d'orologio dell'ultima settimana si aggiunge un altro estenuante mese e mezzo di "quanto manca al primo settembre?" traducibile con la banalissima speranza che il PSG non alzi l'offerta per il vichingo dalla voce tenera. In quel caso il capovolgimento emotivo e percettivo tornerebbe in auge e dal "quanto manca al 1° settembre" l'interista verrebbe catapultato al "perché non rallenta?" nella frustrante speranza che Marotta rattoppi l'infinito buco che la partenza di Skriniar lascerebbe: tecnico ma soprattutto sentimentale e di fiducia.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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