Nulla di nuovo sotto il cielo di Indianapolis: pur uscendo sconfitto dal confronto contro il Chelsea dell’enorme ex José Mourinho, Walter Mazzarri continua a registrare progressi e indicazioni positive dalla sua Inter. Gli si può dare moderatamente ragione, anche perché la formazione nerazzurra ha comunque mostrato diversi aspetti confortanti soprattutto per quel che riguarda l’idea di gioco e l’intensità. Rimangono comunque i limiti ben noti nella rosa, palesatisi soprattutto in un centrocampo ancora tutto da registrare, e per il quale urgono i puntelli più immediati. Nessun allarme aggiuntivo rispetto alle ultime uscite (fatto salvo il nuovo stop di Walter Samuel), comunque cose già note sulle quali comunque la società, tra uno scoglio e l’altro, sta cercando di porre rimedio, a partire dal talentino Wallace che il buon José ci concederà a noleggio per una stagione per poi presumibilmente venire a riprenderselo. Il programma Inter 2013-2014, quindi, è ancora in versione beta: si spera di non dover aspettare troppo per il definitivo rilascio.
La notizia che comunque ha fatto più sensazione nella giornata di ieri è stata sicuramente un’altra, un’uscita a sorpresa: quella di Ernesto Pellegrini, ex presidente dell’Inter, l’uomo dal quale Massimo Moratti ha rilevato nel 1995 la società nerazzurra. Ernesto Pellegrini che, nei concitati giorni della svolta storica per l’Inter col passaggio della maggioranza a Erick Thohir, alla Gazzetta dello Sport ha lanciato un vero e proprio appello al patron nerazzurro: un appello a diffidare dello straniero, perché mosso nell’acquisto dell’Inter solo da ragioni di business. A Pellegrini, testuali parole, piange il cuore a vedere la sua Inter nelle mani di un uomo che viene da lontano, e addirittura prova a fare leva sui residui dubbi di Moratti invitandola ad aspettare che una nuova cordata di imprenditori italiani, da lui individuati, esca allo scoperto e si proponga di dargli una mano nella ristrutturazione della società, tutto in nome del made in Italy.
Ernesto Pellegrini è un nome che ai tifosi interisti più giovani potrebbe dire poco: la sua avventura all’Inter iniziò nel 1984, quando rilevò la società da Ivanhoe Fraizzoli per dieci miliardi di lire. Fu anche lui un presidente che si spese molto, in tutti i sensi, per l’Inter, che sotto la sua gestione vinse lo scudetto dei record del 1989 con Giovanni Trapattoni, e due Coppe Uefa: il suo biglietto da visita fu Karl-Heinz Rummenigge, presentato in un San Siro stracolmo nell’aprile di quell’anno, prima di un’Inter-Juve finita 1-2; ma altri campioni arrivarono in quegli anni, su tutti i panzer Lothar Matthäus– Jürgen Klinsmann – Andreas Brehme, ma anche gente come Nicola Berti, Ramon Diaz, Daniel Passarella. Alternati ad acquisti più opachi come Vincenzo Scifo o Mathias Sammer, fino a Dennis Bergkamp, annunciato come un craque e che all’Inter sostanzialmente fallì prima di diventare definitivamente grande nell’Arsenal. Il fiasco dell’olandese, unito alle difficoltà della squadra che nel 1994 arrivò alla salvezza solo a due turni dalla fine del campionato, convinsero Pellegrini a passare la mano al figlio del patron della Grande Inter Angelo.
Oggi, Pellegrini esce nuovamente allo scoperto per l’Inter, facendosi portavoce di un possibile gruppo di imprenditori pronti a mantenere l’Inter in mani morattiane scongiurando l’avvento del mogul. Dichiarazioni le sue che invitano, ovviamente, a delle riflessioni; riflessioni che vanno al di là del tempismo forse inopportuno, considerato che ormai il closing della trattativa con Thohir è vicino all’arrivo. Di sicuro, infatti, nelle parole di Pellegrini c’è indubbiamente tanto romanticismo, tanto del suo passato da presidente; c’è la sacrosanta leva della passione che, giustamente, dovrebbe animare chiunque decida di investire in un mondo come quello del calcio italiano, parole già sentite su queste frequenze. Ma soprattutto, quando dice: “Perché non si fa avanti qualche imprenditore italiano, meglio milanese”, allora ecco venir fuori tutta l’aurea di un periodo storico importante del quale Pellegrini è stato protagonista: quello della Milano ruggente degli anni ’80, del cuore pulsante d’Italia e d’Europa in tutti i campi, dall’economia, alla moda, fino allo sport. La Milano degli yuppies e dei paninari, dei giocatori in Borsa e della grande pubblicità; la città che, con un quanto mai azzeccato claim, fu ribattezzata “Milano da bere”.
Bei tempi, indubbiamente; bei tempi che purtroppo furono, e che oggi sembrano alquanto remoti. L’economia mondiale ha ormai ben altri centri di gravità, sparsi un po’ per tutto il globo, anche in Paesi che un tempo apparivano come esotici e dai quali invece ora passano gran parte dei flussi di affari intercontinentali. E anche il calcio, bene o male, sta vivendo lo stesso periodo di mutazione: ormai i grandi magnati arrivano sempre più dai Paesi emergenti, sono coloro che vengono dagli angoli di pianeta più disparati e dispongono di ingenti risorse economiche che fanno impallidire tutti o quasi gli imprenditori ‘autoctoni’. La stessa Milano di una volta ora cede il passo, travolta negli anni ’90 dallo scandalo Tangentopoli dal quale, forse, non si è mai rialzata fino in fondo. E non c’è più il campionato italiano inteso come il campionato più bello del mondo, del quale è rimasta la nostalgia, il discutere tra amici, i goccioloni di fronte ai filmati d’archivio proposti dalla tv o dagli utenti di Youtube. Giusto rievocare gli antichi fasti, ma con un occhio obbligato alla modernità: ormai il calcio procede ad un’altra velocità e non si può tornare indietro.
Belle e indubbiamente romantiche le parole di Ernesto Pellegrini, e non voglio nemmeno mettere in discussione l’eventuale buona volontà di lui e di questa annunciata cordata. Ma mai come adesso è giusto confrontarsi con la cruda realtà: è un momento di grande difficoltà per tutti, e se qualcuno si dice ben disposto a rilanciare una società come l’Inter, auspicando di riportarla tra i 10 top club mondiali e promettendo soprattutto di metterci comunque la giusta dose di passione all’attuale patron, forse l’ultima cosa da fare, specie al giorno d’oggi, è guardare il passaporto…
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