Il ritorno dei tifosi allo stadio, purtroppo, è accompagnato dall'ennesimo episodio di violenza con protagonisti gli ultrà. L'ultimo episodio dopo Verona-Inter, vinta 1-3 dalla squadra di Inzaghi al Bentegodi, dove venerdì notte il giornalista e conduttore televisivo Fabrizio Nonis (volto prima di Mediaset, poi in Rai, con 'Linea Verde' e 'La prova del cuoco', ora su Gambero Rosso) è stato picchiato assieme al figlio di 22 anni da ultrà dell'Hellas. Nonis, che ha riportato la perforazione del timpano destro, al Corriere Veneto ha ricostruito così l’aggressione: "Sono stati dieci, quindici minuti di una violenza inaudita. Siamo usciti dallo stadio contenti e felici per aver visto una bella partita. Era da due anni che non andavamo allo stadio. Io tifo Inter e seguo con molta simpatia l'Udinese, grazie alla mia attività professionale ho avuto modo di conoscere e frequentare molti giocatori come Ranocchia e Lasagna. Li avevo sentiti in settimana ed eravamo riusciti a recuperare due biglietti sotto la tribuna stampa per la prima partita da vedere assieme. Appena usciti, abbiamo visto che c'era all'angolo un bar dove ci saranno state centinaia di persone, tutte ammassate e senza mascherina che discutevano della partita e bevevano. Ho immaginato che fosse un luogo di ritrovo degli ultrà dell'Hellas e ho preferito dire a mio figlio Simone di fare un giro più largo. Premetto che quando andiamo allo stadio non portiamo mai bandiere, sciarpe ed evitiamo abiti che possano richiamare i colori sociali delle squadre in campo. Eravamo a meno di 300 metri dall'auto, quando ho visto che un gruppetto di sei, sette persone, si è staccato dal pubblico del bar e ha cominciato a seguirci".
Fabrizio Nonis, conosciuto in televisione con il soprannome di "Becher", macellaio, mestiere del padre e che lui stesso ha portato avanti prima di dedicarsi alla divulgazione enogastronomica in tv , invita il figlio ad accelerare il passo. "Ma non volevo mettermi a correre, anche se avevo una bruttissima sensazione. A un certo punto hanno cominciato a urlare ‘Ehi, tu, ehi voi. Che ore sono?’. Ci siamo fermati e mio figlio ha risposto: ‘Le undici meno dieci’. Erano a un metro da noi. Un uomo fra i 45 e i 50 anni, con il cappellino dell’Hellas in testa mi ha chiesto ‘Che c.. ci fate qua’. A quel punto ho pensato che forse sarebbe stato meglio rispondere in dialetto, così da far capire che eravamo veneti anche noi e ho risposto che eravamo venuti a vedere la partita. ‘Che squadra tifate?’ mi ha detto l’energumeno. Ho detto che non tifavo per nessuna squadra, ma lui mi ha incalzato e allora ho detto che avevo simpatie per l’Udinese. Non ho fatto in tempo a pronunciare il nome della squadra friulana che mi sono trovato a terra. Quell’uomo mi aveva colpito con un pugno in pieno volto che mi ha fatto perdere l’equilibrio".
"’Che cosa fate?’, ha urlato mio figlio. E via una sberla anche a lui, finito a terra come me. Gli altri, tutti con t-shirt o polo o cappellini dell’Hellas si erano messi a cerchio per bloccare le vie di fuga. Noi, cadendo, eravamo in mezzo a due auto parcheggiate. E lì hanno cominciato uno dopo l’altro a darci calci. Ai fianchi, alle gambe, al volto. Le auto un po’ ci proteggevano. Io con le ultime energie che avevo ho urlato: ’Ma che state facendo, siamo veneti anche noi’ per fugare ogni dubbio che appartenessimo alla tifoseria della squadra avversaria. E giù altri calci. Non so come, ma siamo riusciti ad alzarci e infilandoci tra le auto, abbiamo attraversato la strada. E quasi sono stato investito da un’auto di passaggio. Abbiamo raggiunto la nostra automobile e lì è arrivata la seconda dose. Pugni e calci, sberle a mio figlio, a cui hanno schiacciato il volto contro il cofano. Sono stati dieci, quindici minuti di terrore. Poi non ho capito che cosa è successo, un anziano è sceso dal suo appartamento o forse era di passaggio e ha chiesto che cosa stesse accadendo, loro si sono fermati e si sono allontanati un po’. Così abbiamo avuto qualche secondo di liberà, il tempo di entrare in auto, bloccare le porte e partire. Abbiamo fatto qualche centinaio di metri, poi ci siamo fermati e ho chiamato il 118".
Gli operatori sanitari hanno portato Fabrizio e Simone Nonis al pronto soccorso, al giovane è stata fatta una Tac che ha dato esito negativo, mentre al conduttore televisivo è stata riscontrata la perforazione del timpano oltre alle evidenti lesioni, soprattutto al volto. "In ospedale sono arrivati anche gli agenti della questura e della Digos, che mi hanno riconosciuto, cosa che, invece, escludo abbiano fatto i tifosi, anche se sarebbe più corretto chiamarli delinquenti". Alle tre padre e figlio sono stati dimessi e solo alle cinque del mattino sono arrivati a casa. Il giorno dopo hanno formalizzato la denuncia, mentre la polizia ha subito avviato le indagini per arrivare all’identificazione di quello che per Nonis era una vero e proprio "branco". "Volevano picchiare per fare male, hanno lasciato stare chi si allontanava dallo stadio in gruppo e hanno beccato due persone non con corporatura robusta che passavano per strada. La nostra fortuna è stata quella di non reagire. E va anche aggiunto che nessuno è intervenuto in nostro soccorso anche solo per chiamare la polizia".
Fabrizio Nonis è amareggiato: "Questa partita era importante, con mio figlio avevamo detto che sarebbe stato bello adesso che si può andare a seguire anche il Venezia, oltre all’Udinese. Invece di una cosa sono sicuro. Allo stadio di Verona non ci torno più, amo questa città, avevamo anche cenato in una pizzeria vicino a San Zeno per andare a salutare l’amico chef Giancarlo Perbellini. Ma non è possibile vivere un’esperienza simile".
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