La scure del primo grado del processo di Napoli è calata sulle teste degli imputati più discussi. In un giorno che per molti italiani sa di liberazione, ecco che arriva la sentenza più attesa: cadono tutti, uno dopo l'altro. Calciopoli non fa rima con Farsopoli. Anzi.

E' durata anni, anni in cui ne sono state dette di tutti i colori. Si è detto tutto e il contrario di tutto. Ma in fondo come stupirsi di un paese, come quello italiano, che ormai tende a riabilitare anche il nome di Benito Mussolini? Nessuno stupore, dunque, soltanto mera presa d'atto. Lo slogan che più è andato di moda è il 'Così fan tutti': il tentativo della così detta Cupola è stato quello di scagionarsi non tanto per non aver commesso reato, quanto perché, a guardar bene, il loro comportamento era condiviso dalla totalità degli attori del mondo pallonaro. Come ci ha spesso ricordato l'ottimo Marco Travaglio, la tesi accusatoria voleva essere distrutta con l'assunto che 'un ladro più un ladro fa zero ladri'. E invece, com'è logico che sia: un ladro più un ladro fa due ladri. In questo caso, ben più d'uno.

Il tentativo, goffo, di salvare il salvabile si è arenato sempre sul nascere. Dalla 'madre di tutte le intercettazioni' a quella del 'favorire chi sta dietro': clamorosi autogol. Si diceva, giù dalla torre (e dentro la Cupola) tutti i partecipanti a quel tavolo a cui faceva riferimento non più di qualche mese fa il presidente nerazzurro Moratti: da Moggi ai fratelli Della Valle, da Pairetto a Meani, passando per Bergamo, Mazzini, De Santis, Racalbuto, Bertini, Titomanlio, Puglisi, Lotito, Dattilo, Foti. Complimenti. 

Mi chiedo: c'era davvero bisogno di tutta questa trafila? C'era davvero necessità di carte, scartoffie e intercettazioni? Oppure di francobolli europei? Non bastava vedere le partite e l'andamento di quei campionati? Penso proprio che nemmeno un cieco avrebbe potuto non vedere l'andazzo tanto palese dei tornei.

E spiegate a quegli imbecilli che lo tirano in ballo nella vicenda, che Giacinto Facchetti, con questi qui, non aveva proprio nulla a che fare. Facchetti è il simbolo di un club onesto, pulito, integro. Una società che fa invidia e fa rodere il fegato a tanti, anche quando perde. Perché si può perdere sul campo, ma mai al di fuori. Facchetti era un alfiere nerazzurro, che ha tentato di difendere in ogni modo la sua famiglia. Perché Facchetti viveva a suo modo il mondo del calcio, un mondo popolato da tante sue nemesi. Ha sofferto per la sua Inter, ha lottato per la sua Inter. Un uomo sbagliato per questo mondo ostile? Io credo che nessuno meglio di lui avrebbe potuto incarnare quel ruolo di scudiero. Anzi, dico che era l'uomo giusto nel momento giusto. Facchetti è vivo, perché è dentro di noi. E' dentro il nostro modo di guardare alle vicende della vita, ci ha trasmesso i suoi valori.

E a voi, voi che rivolete due scudetti, io vi dico che noi rivogliamo indietro anni e anni di truffe. Anni di soprusi e sbeffeggi. Sono sempre 29? No. Sono 5,4.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 09 novembre 2011 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni
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