Nicolò Barella si racconta ai microfoni di Dazn alla vigilia di Torino-Inter. "Da piccolo avevo dei sogni che poi ho capito potevano diventare obiettivi: diventare calciatore, esordire in A con la maglia del Cagliari, giocare 100 partite con i rossoblu ed essere capitano. E poi giocare in una squadra top al mondo, ci sono arrivato. Avevo 11-12 anni. La Nazionale? Era già tra gli obiettivi ma magari non pensavo ancora così tanto in grande...". Al centrocampista viene chiesto di scrivere su un quaderno i prossimi due sogni e Barella scrive "vincere uno scudetto e un Mondiale". "Uno a breve termine si spera, l'altro un po' più avanti", dice.

Nell'intervista, il calciatore nerazzurro parte dagli inizi. "Prima di essere un lavoro la mia è una passione. Sono stato contagiato da mia padre. Alle mie figlie spiegherò tra qualche anno che è difficile, ma quando si avvera il tuo sogno è la cosa più bella del mondo. Più il sogno è impegnativo e più è bello. L'emozione di entrare in uno stadio, a Cagliari o a San Siro, sentire i tifosi che cantano il tuo nome, è la cosa più bella del calcio per me. Un tackle meglio di un gol? Quello al Verona mi è piaciuto, ma quando sento il boato perché recupero il pallone mi piace. La scivolata mi resterà nel cuore. Se dovessi fare un tutorial direi che come prima cosa devi sempre avere il braccio pronto quando scivoli, per rialzarti. Punto due, serve la cattiveria giusta, senza prendere ammonizioni. Io tento sempre di fare il tackle con la gamba esterna per agganciare il pallone, mai di prenderlo con la punta. Si cerca sempre la palla, ma se prendi l'avversario è il calcio. Lo capirà...".

Tornando sulla rete all'Hellas, Barella dice: "Era un gol che aspettavo da tanto perché in Champions non ho potuto esultare essendo una partita difficile per noi. Non è stato importantissimo, questo invece lo è stato ed è stato una liberazione. Volevo dare il più possibile una mano alla squadra. Cosa mi ha detto Conte a fine gara? Forse è partita qualche parolaccia, qualche sorriso. Ma non ricordo, stavo salutando tutti i compagni. Ho salutato Lautaro prima del mister, mi voleva dare il giubbotto perché ero senza maglia. E' stato bello. Nel mio gioco c'è tanto istinto, ma il mister e i compagni mi aiutano tutti i giorni. Hanno tanta esperienza, cerco di imparare anche da loro determinate cose. Sto continuando a migliorare. Io ho giocato a Cagliari la prima, a casa mia. Tutti mi volevano bene. E' stato uno step importante andare via da casa, allontanarmi da tutto e tutti. All'inizio è stato non difficile ma più complicato sicuramente. Sono in una squadra con tanti campioni, tutti si volevano guadagnare un posto. Sono contento che piano piano ho dimostrato quel che valgo".

Un pizzico di amarezza si avverte quando parla del suo addio alla Sardegna. "Ne hanno dette tante dopo che sono andato via da Cagliari. Avevo un bel rapporto con loro. Tuttora ce l'ho con alcuni di loro. Magari qualcuno ci è rimasto male perché non mi sono esposto però questo è il calcio, questo è il mercato. Le cose si fanno sempre con società e procuratori di mezzo. Ho rifiutato proposte con cui avevo guadagnato di più, questo magari la gente non lo sa. Io so come sono fatto e perché sono venuto all'Inter. Perché volevo crescere, è una società importante. C'è un allenatore tra i più forti al mondo, dei campioni con cui vogliamo costruire qualcosa di importante. Ora non è il momento di guardare la classifica, dobbiamo continuare il nostro ruolino di marcia e fare ancora meglio. Vedremo a fine anno come sarà la graduatoria". 

Sezione: Copertina / Data: Ven 22 novembre 2019 alle 11:36
Autore: Redazione FcInterNews.it / Twitter: @Fcinternewsit
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