Il calcio è come la vita, a volte premia oltre i meriti, altre è crudele. Ieri sera lo è stato particolarmente contro un'Inter che alla fine si ritrova un pugno di mosche in mano dopo una prestazione ottima per almeno un'ora a Barcellona. L'errore dopo una sconfitta come quella maturata al Camp Nou sarebbe rimuginare e leccarsi le ferite invece che portare a casa, oltre ai soliti bagagli, anche quanto di veramente buono è stato fatto. Non si tratta del classico bicchiere mezzo pieno, il retrogusto amaro è ancora lì, presente, fastidioso. Si tratta di analizzare con lucidità una prestazione, quella nerazzurra, che fino all'evidente calo nella ripresa è stata praticamente perfetta. Con l'unico, enorme neo di non aver trovato un secondo e legittimo gol.

Squadra aggressiva, puntuale nelle chiusure, lucida nelle ripartenze e in grado di ammutolire sia gente come Griezmann, Messi e De Jong sia gli oltre 90 mila tifosi locali, sorpresi e non poco dall'approccio propositivo di un'Inter solitamente dimessa quando fa visita alla Catalunya. Se i nerazzurri non hanno portato a casa almeno un punto lo devono essenzialmente al prodigio di Ter Stegen su Lautaro nel primo tempo, all'intuizione di Valverde che ha inserito Vidal (ingresso decisivo) e al talento smisurato di Suarez, che in pratica si è dovuto mettere in proprio per scalfire il muro di fronte a Handanovic, fino a quel momento solidissimo. Parallelamente, i padroni di casa hanno guadagnato campo, hanno ampliato un raggio d'azione già di per sé molto aeroso e hanno sfruttato l'arretramento dell'Inter dovuto a un evidente calo fisico. Ci sta, è normale che dopo un'ora di corsa per negare pertugi a chi di solito è in grado persino di inventarli, qualcosa la devi concedere. Così come è prevedibile che a casa di Messi & Co. l'arbitro di turno abbia sempre un occhio di riguardo nei loro confronti. Malcostume difficile da estirpare anche in ambito internazionale.

Non ha senso piangersi addosso, anche di fronte a una classifica di Champions alquanto compromessa. Per rimediare c'è tempo, soprattutto per una squadra che sembra aver superato quei limiti caratteriali che le impedivano di esprimersi su certi palcoscenici. Il Camp Nou, per quanto teatro di una sconfitta dolorosa, è anche notaio di una svolta che tutti attendevamo e che pone l'Inter su quel piedistallo destinato alle grandi d'Europa. Non per risultati, ma almeno per mentalità. E in quest'ottica qualcosa è davvero cambiato. La differenza, poi, la fanno sempre i fuoriclasse e Valverde, senza che nessuno si offenda, ne dispone di qualcuno in più. Per questo non pare forzato, alla luce dell'evoluzione della partita, sostenere che il singolo del Barcellona abbia battuto il collettivo nerazzurro. L'Inter è stata più squadra finché ha saputo mantenere le distanze, poi ha pagato inevitabilmente dazio alla qualità del Barcellona e alla riserva nel serbatoio.Il primo tempo, anzi la prima ora di gioco sono il manifesto della rivoluzione contiana, ancora in fase embrionale. Next step, domenica, contro la Juventus, quando è lecito attendersi conferme e magari ulteriori lampi di crescita.

In chiusura, per quanto meriterebbero un capitolo intero a parte, complimenti vivissimi alla seconda squadra di Milano, l'Under 19 nerazzurra che qualche ora prima ha schiantato i canterani del Barcellona all'Estadi Johan Cruijff: un sonoro 3-0 contro un vivaio da sempre considerato il top a livello internazionale, impallidito di fronte all'organizzazione tattica, alla pulizia di gioco e alla concretezza dei giovani interisti. Per una volta, i veri modelli da seguire sono stati loro.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 03 ottobre 2019 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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