"Dobbiamo essere bravi a giocare nella giusta maniera fin dalle prime battute. Bisogna affrontare subito una partita nella migliore maniera possibile". Parte, o meglio, ri-parte così Antonio Conte dopo mercoledì e in vista della trasferta di Cagliari di oggi. Contro la squadra di Di Francesco l'Inter dovrà essere brava a giocare nella giusta maniera. Tutto vero, tutto giusto, tutto comprensibile quanto condivisibile. Tutto tranne le ovvietà della frase (peraltro arcinota). Dove sta la novità? Se la matematica non inganna uno più uno fa sempre due e per vincere bisogna sempre giocare nella giusta maniera; e se uno più uno fa due, due più due fa sempre quattro e il quattro sembrerebbe dire che finora bravi a giocare nella giusta maniera i nerazzurri non lo sono stati. Il perché andrebbe chiesto a Conte che però finirebbe quasi sicuramente ad infastidirsi e a girare all'interlocutore fischietto e tesserino da allenatore. Ipse dixit.
Affrontare subito una partita nella miglior maniera possibile. Cosa che l'Inter avrebbe dovuto fare e che in verità ha fatto anche contro lo Shakhtar, contro il quale però "è mancato solo il gol". Ancora tutto vero, se non fosse che l'obiettivo del calcio è quello di segnare più gol della squadra avversaria, il che significa che se manca il gol manca praticamente tutto. Il bel gioco sarà pure apprezzato purché porti alla vittoria e se è vero che "meglio una partita finita 4-3 che una vittoria per 1-0", a San Siro mercoledì ci saremmo tutti accontentati di un semplice e misero 1-0. Che non è arrivato, azzerando anche il prosieguo in Europa. Non in Champions, in Europa. Giocare nella miglior maniera possibile significa pure e soprattutto adeguarsi all'avversario, pure se l'avversario è un sornione Shakhtar che prepara una partita tranello. Tranello nel quale l'Inter è cascata finendo intrappolata non solo dalle trame di Castro ma anche dalle proprie ansie e a tratti dall'assenza di lucidità, con la complicità di un fato troppo severo... sì ma solo per Romelu. C'è chi direbbe che è girato tutto male, ma a girar male è stata la strategia messa in campo, senza malizia e soprattutto cattiveria che potessero scardinare le trame degli ucraini, dimostratisi più furbi degli italiani.
"Ci credevamo" ammette con rammarico senza veli, ma il secondo tempo di mercoledì lascia fare un pensiero antitetico corroborato da quelle frasi pronunciate in conferenza stampa immediatamente dopo la partita che fanno maliziosamente pensare ad una resa premeditata in caso di difficoltà, sempre il tutto nel bene dello scudetto. Il che spiega chiaramente il malumore dei tifosi, tristemente confuso con disfattismo e fiducia negata al 'percorso' di crescita. Ma facciamo chiarezza: avrà ragione Antonio a "non prestare il fianco a chi in questo momento sta godendo", certo è che i più cinici e fuori luogo commenti di chi vede nel risultato di mercoledì una rivincita nei confronti di un lavoro non gradito fino a questo momento difficilmente rendono alla squadra il piglio giusto per reagire. Intenti che non valgono di sicuro la medaglia al valore del tifo. Ma altrettanto vero è che la negatività di cui l'allenatore parla non sembra essere stata evitata in alcun modo. Additare tifosi e critici come i disfattori del percorso fatto finora è ingiusto, se non altro perché il percorso di crescita di cui sopra ad onor di numeri e risultati ha vissuto un brusco arresto mercoledì stesso. Una frenata imputabile solo a se stessi, senza filosofia e dialettica che tengano. Godersi il percorso risulta pressoché difficile se non impossibile, godersi il risultato figuriamoci. "Bisogna avere fiducia" continua "capisco l'impazienza dopo dieci anni ma bisogna capire che quando riparti dalle fondamenta il problema per cui ci vuole più tempo sono proprio le fondamenta". Ennesimo tiro fuori e non di poco. La fiducia inizia a scarseggiare e scagli la prima pietra chi non creda sia più che comprensibile. L'impazienza di cui si parla non è certo vecchia dieci anni, ma parte dalla lettura di numeri e situazioni strettamente attuali.
Un bilancio di 290 milioni circa spesi in due anni di mercato, con tanto di giocatori di un calibro non esattamente così sprezzante e trascurabile. Non sono arrivati i vari Kanté e Marcos Alonso, e siamo tutti d'accordo, ma considerare "mediaticamente sopravvalutata" - come è stato detto - l'attuale rosa dell'Inter è irrispettoso, anche in questo caso senza filosofia alcuna che tenga. Lukaku, Lautaro, De Vrij, Barella, Skriniar, Hakimi, Vidal solo per citarne alcuni, i primi in ordine di incidenza nella squadra. L'impazienza forse sarà un tantino giustificata malgrado sia vero che Roma non è stata edificata in tre giorni. Ma più che costruire Roma, qui sembra tessere la tela di Penelope: faccio e disfo, faccio e disfo. È evidente che il problema sia reale ma altrettanto evidente sembra la difficoltà nel risolverlo. All'acquisto dei vari Tonali o Kumbulla sono stati preferiti i vari Vidal e Kolarov: acquisti d'esperienza per vincere ora e subito. Esperienza che finora è servita a poco o nulla: il primo tradito dalla sua stessa irrefrenabile garra, la migliore delle virtù, finita per condannarci nella gara d'andata col Real e ad estrometterlo in quella di ritorno. Il secondo un po' per Covid, un po' per infortunio, un po' per qualche errore dato da un adattamento non ancora avvenuto non ha ancora dato modo di apprezzarne l'apporto. Motivo (anche) che spinge a chiedersi e a chiedergli: "Qual è stato il motivo della cessione di Godin?". Ma anche in questo caso il dribbling è la via prescelta, "non credo sia giusto giustificare partenze e arrivi". Un po' alla Sanchez style, ma un po' come accaduto ad Alexis col Gladbach, a volte va male e funge da boomerang.
Ingiusto parlare di partenze e arrivi? Effettivamente è vero, come ingiusto sarebbe parlare di mancati arrivi e mancate partenze. "Ho grande rispetto e affetto per Diego. Sa benissimo cosa penso di lui, l'importante lo sappia lui. Non gli altri". Se sottrai Diego e aggiungi Christian alla frase sembra il copia e incolla della giustificazione fornita ai 5 minuti a partita concessi al danese, centrocampista qualitativamente più talentuoso in rosa, ma lasciato in panchina per il bene della filosofia. Che in casa mia potrebbe più grottescamente chiamarsi presa di posizione. "Con lui ci vorrà più tempo". Più tempo... In campo - oseremmo supporre. Al netto di tutto Conte ripropone il motto iniziale di luglio 2019: testa bassa e pedalare. Lavorare, dando tutto e mettendoci sempre la faccia. Ma la faccia a volte non basta, e alle frasi fatte e rifatte, dette e ridette sarebbe stato più apprezzato un umile e schietto "ci dispiace" senza ghirigori di contorno. Senza peraltro dimenticare che a furia di giustificare l'ingiustificabile per il bene dell'Inter il predecessore è stato silurato malgrado giustificazioni valide e obiettivi centrati.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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