Ci sono cose che non capisco né comprendo; una di queste, ad esempio, è l’accanirsi che di tanto in tanto riemerge, tipo mal di pancia, al minimo passo falso della squadra nerazzurra. Cioè, vediamo di capire; l’Inter ha incontrato, nell’ordine, Fiorentina, Roma, Spal, Crotone e Bologna. Ha segnato 10 gol subendone 2. Arriva alla gara di quest'oggi con cinque punti – cinque, non ventidue per adesso – di distanza dalla coppia regina del torneo che, a detta di chiunque mastichi calcio, dominerà il campionato in uno spasmodico testa a testa risolvibile solamente all’ultima giornata.
Vero, non nascondiamoci dietro un dito, le ultime due trasferte non sono state brillanti e probabilmente abbiamo pure raccattato più di quanto meritato. Ma ci sono squadre che hanno costruito fortune sul non gioco e sul beccare pochi gol, che tanto uno prima o dopo lo si faceva. A memoria queste compagini (mi piace compagini, sa tanto di secolo scorso) erano osannate per il cinismo che le contraddistingueva. Anzi, se provavi a dire una roba del tipo: si, però che parate il portiere… apriti cielo, si alzava un’orda barbarica di difensori d’ufficio e non a spiegare che tu non capisci una mazza, il portiere fa parte degli undici e le sue prestazioni equivalgono a quelle di un qualunque compagno di squadra.
Va bene, corretto, ma spiegatemi; come mai se a fare il fenomeno tra i pali è tizio o caio viene beatificato, se lo fa il nostro ha più culo che anima? In pratica, per ciò che ho letto questa settimana, noi saremmo a quota zero senza gioco, senza un senso logico, senza idee, con uno spogliatoio in fibrillazione ed una tifoseria sull’orlo di una crisi di nervi. Tutto per un pareggio con una squadra che ha giocato la partita della stagione, senza mollare un secondo e con una concentrazione degna della finale di Champions. Che poi, diciamocelo pure, anche altri a Bologna hanno sofferto e pure di brutto, rischiando l’inverosimile prima di dilagare nel finale. Merito di automatismi consolidati nel tempo; perché se giochi insieme da qualche anno tutto ti viene più facile, non è una puttanata che si racconta tanto per dare aria ai polmoni.
Forse è sfuggito un particolare di rilevanza non marginale; questo è l’anno uno dell’era Spalletti, l’anno uno dell’ennesima rifondazione, l’anno uno da cui ripartire per cercare di costruire qualcosa di serio. E non basta lavorare insieme un paio di mesi per far sì che tutto l’ambaradan si fonda in una perfetta macchina da guerra; nossignori, ci vuole tempo e fatica, pazienza ed intelligenza. Non è un luogo comune il proverbio Roma non è stata costruita in un giorno e nemmeno il titolo di una fortunata canzone dei Morcheeba; è la verità. Io trovo, ma lo dico serenamente, che spesso siamo proprio noi tifosi, colti da non so quale raptus, ad essere i peggiori detrattori dei nostri colori. Certo, me ne rendo conto – sarò pure pirla ma pirla e rincoglionito insieme anche no -, dopo anni di lucido zero, di un nullismo difficilmente riscontrabile nella secolare storia nerazzurra, ogni temporale assomiglia ad un uragano, anche se ci sono quattro tuoni, tre lampi e piove cinque minuti. La stanchezza inizia a farla da padrona nelle fila del tifo nerazzurro; e la campagna acquisti non ha contribuito certo a creare intorno a squadra e Società un clima distensivo.
Le attese sono altissime, inutile raccontare qualcosa di diverso, i critici per forza sono tutti lì, schierati, ad aspettare il passo falso dei nostri eroi; che, dal canto loro, a volte non fanno un bel nulla per cercare di togliere dalla mente dei tifosi quella sensazione sgradevole che contribuiscono ad alimentare con prestazioni molto al di sotto della sufficienza. Spalletti mi piace, non è notizia di oggi; ma Spalletti non è Amelia, la strega che ammalia. E nemmeno Maga Magò. E neanche Merlino. È un signore toscano di indubbie capacità e si è accollato una scommessa che può riservare parecchie soddisfazioni. Ma necessita di tempo; per far capire ai suoi ragazzi cosa desidera da loro, per fare in modo che ciascuno renda al meglio e, perché no, per cercare di cambiare la mentalità di una squadra formata per la maggior parte da calciatori che nella loro carriera non hanno vinto nulla.
E se da un lato la fame di successo dovrebbe essere uno sprone per evitare figuracce, dall’altro la mancanza di capacità gestionale del pallone nei momenti difficili era, dal mio punto di vista, il vero male di questa squadra; per ciò che mi riguarda, lo dico da tempo, la rosa nerazzurra è seconda soltanto a Napoli e Juve, nulla da invidiare alle altre. Però ci vuole concentrazione, consapevolezza, concretezza. E, perché no, magari provare qualche volta a dimenticarsi di questo benedetto 4-2-3-1 che non sopporto dai tempi di Mancini. Forse è soltanto una mia idea, strampalata, ma ‘sti benedetti ragazzi riuscirebbero a rendere meglio in un 4-3-3 o in un 4-4-2 mascherato. Tutte supposizioni, sia chiaro, numeri che servono a poco tanto in campo non ci vanno mica loro, i numeri.
Certezze poche; anzi, una certezza vera ce l’ho; siamo nel bel mezzo di un cantiere aperto, di lavori in corso che abbisognano di un certo periodo di tempo. Che ricominciare per più e più volte nel passato ci ha portato a dove siamo ora. Quindi turarsi il naso di tanto in tanto ed avere fiducia. Per il resto amatela, sempre. Buona domenica a Voi!
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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