Antonio Conte l'ha sempre saputo. Il concetto è stato ripetuto più volte dall'allenatore salentino in questi primi mesi di Inter. "Conosco il giochino: ci state alzando perché poi ci darete la mazzata appena qualcosa andrà storto", ripeteva a inizio stagione dopo ogni vittoria. E le mazzate sono arrivate, eccome se sono arrivate.

Sono bastati 90 minuti dopo tre mesi di stop per far riemergere le insane vecchie abitudini. L'Inter esce dalla Coppa Italia dopo l'1-1 del San Paolo: un'eliminazione amara, certamente, ma che andrebbe analizzata più a fondo prima di appioppare etichette disfattiste. Tutto si può dire, ma non che i nerazzurri siano stati inferiori al Napoli nei 180 minuti. Anzi. Soprattutto al San Paolo, Handanovic e compagni hanno dimostrato di essere superiori all'avversario, pagando la mancanza di imprecisione davanti la porta. E se all'andata la muraglia del 4-5-1 di Gattuso aveva effettivamente congelato le velleità interista, nel ritorno le occasioni per ribaltare la qualificazione sono state tantissime. Capita, è il calcio. Ma alzi la mano chi possa dirsi deluso per l'approccio, il gioco, lo stato psico-fisico e la voglia mostrate dalla squadra sabato sera. A dirla tutta, le risposte ricevute da Conte sono state ottime nella stragrande maggioranza dei casi, sia a livello singolo che globale.

Chi ha davvero fatto male è stato Lautaro Martinez. Ed è inutile nasconderlo. L'argentino è apparso più ingessato dei compagni, molto meno brillante e anche piuttosto impreciso nelle scelte. Il Toro si è visto pochissimo: poche sponde, poca difesa del pallone, pochissime conclusioni serie. Insomma, l'ex Racing sembra l'elemento più in ritardo fra tutti, anche considerando poi l'impatto più che positivo avuto da Alexis Sanchez nella ripresa: pensare al cileno titolare contro la Samp al fianco di Lukaku non è eresia. Ma da qui a parlare di “caso” ce ne passa. Un conto è giudicare negativa in modo oggettivo la performance di Lautaro sabato sera, un altro innescare discorsi teorici facendo sponda col calciomercato. "Caso Lautaro", abbiamo letto all'indomani del match. "Lautaro in Barça", "Lautaro con la testa alla Catalogna", "Problema Lautaro", "Lautaro non è più lui", "Lautaro pensa già a Messi". Una sequela di illazioni tanto scontate quanto superficiali. E sfatiamo questa storia che "Lautaro non segna più". L'ultimo suo gol è quello al Cagliari e risale al 26 gennaio. Poi? Nelle seguenti 9 gare, l'argentino è sceso in campo in 6 occasioni, delle quali solo 2 in Serie A (con Lazio e Juve, non propriamente avversari semplici a cui fare gol). Per il resto, prima della gara del San Paolo, dopo l'assist e una prestazione più che buona nel 2-1 contro la Fiorentina (quarti di Coppa Italia), il Toro ha giocato sotto tono nell'andata di coppa col Napoli (come tutta la squadra) ed è rimasto a secco nella trasferta di Razgrad contro il Ludogorets in Europa League. Un po' poco per parlare di "caso", non vi pare? Sottolineate in precedenza le mancanze di Napoli, vanno concesse a Lautaro anche le attenuanti generiche: non solo una condizione comprensibilmente non al meglio, ma anche uno schieramento dell'avversario tutt'altro che favorevole alle punte. Lukaku è senz'altro apparso più vivo, ma anche il belga ha faticato a emergere dinanzi al muro di Gattuso. Che le sirene di mercato possano condizionare un giocatore è fuori dubbio. Parlare di "caso", in questo momento e analizzando bene tutti i fatti, è del tutto fuori luogo.

Ma d'altronde l'Inter è sempre l'Inter. La crisi è dietro ogni angolo. E se non si può parlar male di Eriksen (molto bene a Napoli non solo per il gol) e se non si può parlar male di Conte (ok l'esperimento del 3-4-1-2 e pure tutto il resto dopo mesi di stop forzato), allora è fisiologico che ci si ingegni nello scovare una qualche argomentazione che inneschi turbative. Quelle che l'allenatore nerazzurro chiama "mazzate". Eccole.

VIDEO - NAPOLI-INTER 1-1, LA DELUSIONE DI TRAMONTANA

Sezione: Editoriale / Data: Mar 16 giugno 2020 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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