Ripensandoci, a pancia piena, doveva succedere. Perché prima o poi, con tutti gli avvoltoi ed affini che avevamo sulle spalle, con l’onda lunga di gufate travestite da falsi complimenti utili per farsi belli davanti alle telecamere o sulle colonne dei quotidiani, era logico aspettarsi lo scivolone.
Certo, passato lo stato emozionale dell’incazzatura assolutamente logica ed inevitabile, con la mente sgombra da inquinamento pallonaro, risulta fastidioso il succitato scivolone per un paio di inequivocabili motivazioni. La prima è che come regalo di Natale i ragazzi non potevano scegliere di peggio. La seconda è che il fattaccio è capitato a casa nostra, sul nostro prato verde, in quello che la dirigenza vorrebbe tanto presentare al resto del mondo come il fortino nerazzurro impossibile da espugnare.
Senza dimenticarsi che una eventuale vittoria avrebbe con ogni probabilità consentito alla squadra di arrivare al quel titolo fittizio di campione d’inverno che da anni non sappiamo più cosa significhi, relegati in posizioni di seconda fascia, protagonisti non attivi di una tragedia sportiva più grande di noi.
Ma poco importa. Anzi, per dirla con le parole più adatte alla bisogna, personalmente non me ne frega un bel nulla. E lo scrivo convinto di ciò che affermo, edulcorando il concetto per non scivolare nel triviale. Si, siamo caduti. In casa. Nel momento peggiore.
Quindi?
Come se le altre, quelle che ancora continuano a starci alle spalle – concetto che va ribadito perché i toni che ho sentito dopo l’inopinata sconfitta sembravano quelli di un de profundis ma attenzione, recitare troppo presto salmi funerei può ritorcersi contro coloro che oggi ridono convinti che le cose siano cambiate – avessero un percorso fin qui assolutamente lineare, fatto di prestazioni monstre seguite da altre prestazioni monstre. Sicché un quesito mi sorge spontaneo: ma se tutti quanti sono così più bravi di noi, più belli di noi, più fichi di noi, più forti di noi, ma com’è che stiamo ancora davanti? Non lo scrivo a mo’ di domanda retorica o con quel pizzico di ironia che spesso si usa in circostanze simili. No. La mia è una questione a cui vorrei qualcuno mi desse risposta. In maniera intelligente, non ululando idiozie alla luna. Perché ad oggi, chiedo scusa se mi sono perso qualcosa, risposte intelligenti non ne ho né lette né tantomeno sentite. Tutti intenti a processare tizio o caio.
Ma processare chi? O forse, altro quesito che vorrei dirimere una buona volta, tutti questi giudici raffazzonati sono gli stessi che qualche mese fa scrivevano o sparlavano di una squadra inadatta a rimanere al vertice? Di una ennesima sfida senza storia da far portare avanti ad un tecnico sopravvalutato, strapagato e che nemmeno si sapeva se sarebbe rimasto al termine della scorsa sciagurata stagione? A memoria, nei cassettini della mente, ho ben chiari certi articoli o certe intemerate create per portare avanti il famoso strappo manciniano; quella teoria per la quale il tecnico di Jesi avrebbe abbandonato baracca e burattini a giugno 2015 cercando ingaggi corposi presso altri lidi e lasciando la panchina libera, in attesa di chissà quale condottiero. Ricordo bene. Ricordo bene perché sostenevo che Roberto Mancini non se ne sarebbe mai andato, e lo sostenevo da febbraio scorso, non da luglio.
Lasciando da parte teorie e complotti a me sembra che molti si stiano scordando troppo in fretta da dove siamo venuti. Da quali posizioni occupavamo in classifica non solo l’anno scorso ma anche due, tre o quattro stagioni orsono. Perché da ciò dobbiamo ripartire, avendo ben presente chi o, meglio, cosa eravamo. La Società ha operato in maniera massiccia sul mercato estivo, ridisegnando di fatto una squadra adatta alle caratteristiche del proprio tecnico su suggerimenti di quest’ultimo. Mancini ha voluto alcuni giocatori, li ha imposti, li ha cercati, li ha chiamati personalmente spesso incappando nelle solite prese in giro italiche. Da noi la figura dell’allenatore/manager è inesistente, calcisticamente come organizzazione siamo rimasti ai tempi dei vassalli, dei valvassori e dei valvassini. Quindi via a darsi di gomito tra una risatina e l’altra.
Però, risatina dopo risatina, ad oggi il Mancio ha ragione. Sissignori, ha pienamente ragione. Squadra tosta. Squadra in testa. Punto. Il resto delle chiacchiere stanno a zero.
Poi possiamo serenamente analizzare alcuni errori, anche del mister, non soltanto dei giocatori; ad esempio io con la Lazio mai avrei lasciato fuori Adem e Brozo. Ma l’allenatore è lui, lui decide, lui comanda. E non esiste, proprio non esiste, che qualcuno di offenda se non parte titolare e faccia sceneggiate da bambino delle scuole materne, pur pensando di avere ragione. Spero sia l’ultima volta che mi tocca assistere a spettacoli di così poco decoro.
Si perde e subito via, aperta la caccia alle streghe. Il dagli all’untore, con le pire già accese in Piazza Vetra, il luogo dove l’inquisizione medioevale soleva ardere le streghe presunte. Con annesse vendette personali, il tutti contro tutti, lo spogliatoio così unito ed amalgamato fino al pomeriggio che di colpo si sfalda. Ed allora chiacchieriamo di scazzottate, di urla, di pugnalate alle spalle. Ma, avrebbe detto Totò, mi facciano il piacere.
Hanno discusso nel dopo partita? E mi sembra il minimo, col nulla che avevano mostrato in campo. Si sono azzuffati? Quattro schiaffi dentro uno spogliatoio non hanno mai ammazzato nessuno e quando servono ben vengano. Si, insomma, il solito caso Inter, crisi Inter, sprofondo Inter – chiamatelo come meglio credete – che non sentivamo da tempo ed a cui eravamo disabituati.
Ecco, piuttosto; si cerchi di capire chi è stato il bravo ragazzo che ha parlato, la rana dalla bocca larga. Non per altro, ci mancherebbe: giusto per mandarlo il più lontano possibile, a chiacchierare altrove.
Detto questo siamo primi, siamo davanti, siamo l’Inter: chi l’avrebbe detto a settembre.
Il resto è di una noia mortale.
Buon inizio d’anno a Voi ed ai vostri cari.
Amatela. Sempre!
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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