"Qui si tratta davvero di salvare il calcio, nessuno può far finta di non sentire". Lo sottolinea Gabriele Gravina, presidente della Figc, nella lunga intervista concessa al Corriere dello Sport per toccare anche il tema stipendi. Ecco gli stralci più importanti e le tante tematiche affrontate.
Non basterà spostare in avanti il termine del 16 febbraio per la verifica dei pagamenti?
"Il rapporto contrattuale tra società e atleti è legge tra le parti. L’unica possibilità è un accordo bilaterale per una dilazione, di fronte al quale la Figc può posticipare il termine. Ma non di tanto, altrimenti si finisce per svantaggiare chi ha pagato. Il che, anche sportivamente, sarebbe inaccettabile".
E se entrasse in campo l’Uefa?
"Né l’Uefa, né la Fifa possono intervenire su negozi giuridici di natura privatistica, incardinati nell’ordinamento italiano. Neanche l’associazione calciatori avrebbe il potere di stringere accordi vincolanti tra le parti. La via è stretta. E richiede una presa di coscienza collettiva da parte di tutto il movimento. Questo è il passaggio che ci attende, se vogliamo salvaguardare un sistema".
E il governo cosa può fare per aiutare il calcio?
"Prendere atto che questo sport finanzia le casse pubbliche con un miliardo e 300 milioni di tasse all’anno. Per ogni euro che riceve dallo Stato, il calcio ne restituisce 16,2. Non chiedo ristori, che pure sarebbero giusti, ma che nessuno ha fin qui ricevuto. Ma almeno agevolazioni fiscali concrete. E poi riconoscimento della nostra dignità. Del ruolo sociale che svolgiamo valorizzando i giovani, aggregando le comunità. E rispettando protocolli sanitari che ci costano decine di milioni di euro. Tutto a perdere. Perché qui non si tratta di fare profitti, di cui per ora non si vede neanche l’ombra. Ma di salvare un segmento dell’economia di mercato. E di dare un messaggio di speranza al Paese. Questo stiamo facendo".
Intanto l’aspettativa di riaccogliere i tifosi negli stadi sfuma di fronte al rischio concreto di una terza ondata della pandemia. Vi state preparando a una stagione senza botteghino?
"Il danno emergente è già disastroso. Quello futuro ancora di più. Pensare, con quello che sta avvenendo, di salvare i conti con il pubblico sarebbe un sogno. E un errore di strategia. Noi chiediamo altro. Che il Paese abbia considerazione di ciò che facciamo per l’economia, per la società e per la cultura, continuando a giocare in mezzo a questo dramma".
Si candida a una delle elezioni meno incerte di sempre nella storia della Figc, avendo coalizzato sulla sua persona la A, la B, la Lega Pro, i calciatori e gli allenatori. Non sarà un plebiscito?
"Sì, è un fatto inedito. Non solo perché la spinta a ricandidarmi è venuta proprio dai delegati delle rispettive componenti. Ma perché all’interno di ciascuna categoria il consenso sul mio nome era quasi unanime. La considero una responsabilità personale. Ma anche un punto di forza per il calcio e per tutti quelli che al calcio guardano come a un riferimento".
Con il presidente della Lega di A, Dal Pino, c’è un ticket anche per la sua elezione?
"Non conoscevo Dal Pino prima che entrasse in questo mondo. Apprezzo il suo equilibrio. In maniera discreta ha posizionato la Lega al centro della Federazione. Nel rispetto della scelta, che spetta a ciascun presidente, mi auguro che sia riconfermato".
Lunedì la Lega stringe con i fondi sulla Media company che gestirà i diritti tivù. Lei sostiene un accordo che porta nella casse del calcio 1,7 miliardi. Ma non teme che l’ingresso della finanza nella governance espropri i club di una quota di sovranità?
"Non ho personalmente caldeggiato questo accordo. Ma ritengo che oggi sia l’unica soluzione concreta sul tavolo. Dal Pino ha fatto un gran lavoro, coinvolgendo tutti i presidenti nella scelta. La quota del 90 per cento, riservata alle società, mi pare scongiurare il rischio di veder ridotta l’autonomia del calcio sotto il profilo della gestione sportiva".
Il bilancio delle proprietà straniere non è tutto rosa. Abbiamo visto il flop di miliardari americani come Pallotta, e in questi giorni assistiamo agli incerti di miliardari cinesi come Zhang. Qualcuno inizia a pensare che erano meglio i vecchi padri padroni...
"A trovarli. Mi chiedo che cosa accadrebbe oggi al calcio italiano, se non ci fossero capitali stranieri. Dobbiamo essere onesti. Se non sviluppiamo sostenibilità, se non riduciamo il rapporto tra costo degli ingaggi e ricavi, non potremo fare a meno di finanza che viene dall’estero. Il sistema ha perso imprenditori di spessore, stanchi di finanziare investimenti irrealizzabili".
Come gli stadi?
"Già, come gli stadi. Sono una condizione essenziale della sostenibilità. Ma in Italia rischiano di essere un’utopia. Che si infrange ora su nostalgie architettoniche, ora su pastoie burocratiche, ora pregiudizi ideologici e antindustriali. Senza stadi e senza vivai, altra incompiuta dell’economia calcistica, non si esce dalla crisi".
Più volte lei ha parlato di legare Mancini e la Nazionale in un matrimonio indissolubile. Ma il cittì traccheggia, la Premier lo tenta. Come pensa di convincerlo?
"Ha un contratto che scade nel 2022. Se ragioniamo con logiche di mercato, la Figc non può concorrere con club che hanno risorse ingenti da mettere sul piatto. Ma io farò di tutto per tenerlo. Il mio vantaggio è la sensibilità di Mancini verso l’azzurro. Non ho nessun motivo per dubitare che l’orgoglio nazionale sia per lui un grande valore. Mi ha detto: quando vuole ne parliamo. E presto ne parleremo. Ci sono tutte le condizioni per dare continuità a un progetto di medio-lunga scadenza".
Un altro suo vecchio pallino sono i play off. L’anno scorso sembravano il rimedio contro un’egemonia juventina lunga troppi scudetti. Quest’anno le cose sembrano andare diversamente, anche se la sproporzione tra la rosa bianconera e quella delle rivali è ancora tutta lì. La contendibilità dello scudetto dipende dai play off?
"Viene prima la riforma del calcio professionistico, semiprofessionistico e dilettantistico. C’è, per fare un esempio, una serie B con un turnover troppo alto: tre promosse e quattro retrocesse fanno sette posizioni calde. Poi dobbiamo capire in che modo ristabilire condizioni di pari opportunità, che non significa impedire a nessuno, meno che mai alla Juve, di vincere. Discuteremo perciò anche di play off. Continuo a pensare che possano dare al calcio un appeal diverso".
Intanto i play off incombono sul futuro del campionato, come soluzione emergenziale, di fronte alla minaccia di una terza ondata della pandemia.
"Certo, la legge attribuisce alla Federazione il potere di modificare in corso la formula del torneo. Ma speriamo di non doverne fare uso. Mi dico che non accadrà. Siamo già passati nell’occhio del ciclone. Rispettando il protocollo, molte società hanno continuato a giocare con senso di responsabilità e in sicurezza, anche di fronte a casi di contagio del virus. Solo una partita è stata rinviata. Mi pare un bilancio positivo da difendere".
La sentenza del collegio di garanzia del Coni su Juve-Napoli non è la prova che qualcosa non va?
"Il collegio di garanzia ha un ruolo ben chiaro nella giustizia sportiva. È la nostra Cassazione. Ma la Cassazione è un giudice di legittimità. Non dovrebbe entrare nel merito e diventare un terzo grado di giudizio. Urge un chiarimento legislativo, per circoscrivere la giurisdizione. Altrimenti saremo costretti a ricorrere al Tar e poi al Consiglio di Stato contro le sentenze del Coni".
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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