Milano, Italia, 1° marzo 2020. 
Duemilaventi, l​​​​​​’anno del cambiamento, dell’Europeo itinerante, delle riforme, dell’Italia tornata protagonista, del Var anche in ambito internazionale ideato per eliminare quelle scorrettezze che nessun regolamento era finora riuscito a scardinare. Ma forse il fuorigioco non è tutto, e questo lo avevamo già capito quando il criterio di giudizio è stato sporcato ancora una volta dalla volontarietà, sì degli arbitri di fischiare o meno, di “rivedere” o meno un intervento in area; problematica diventata un virus sviscerato in ogni dissertazione calcistica da settembre ad oggi. Ma questa è un’altra storia, perché nella diatriba ‘penalty sì, penalty no’ irrompe un altro virus, ben più pericoloso e non certo meramente per il sistema calcio: il covid-19. 

Un virus che, traslato al calcio, più che uccidere ha sbugiardato un sistema che mai come oggi si mostra fragile, inadeguato e inadatto a quelle funzioni che avrebbe dovuto assolvere senza riuscirci; e a morire è solo esclusivamente il calcio. Ucciso, sì ma per mano di chi avrebbe dovuto difenderlo. Rapidità e superficialità decisionale hanno mosso le tessere della Serie A in un gioco del quindici che dopo soli sette giorni non risulta più e rischia di saltare per aria. Decisioni ambigue prima, funeste dopo, che più che razionalizzate appaiono solo razionate convenevolmente a chi ha la mente più influente o il braccio più forte se preferite. A pensar male è peccato, ma qualche volta s'azzecca. E questa volta il pensar male non può essere addotto ad alcuna teoria del complotto, perché qui più che teoria si assiste ad una pratica che sa di infibulazione.

Juventus-Inter non è giocabile perché un derby d’Italia a porte chiuse non s’è mai visto, eppure c’è chi dice che nei derby d’Italia s’è visto di gran lunga di peggio e che le urla di Conte dalla panchina non sarebbero parse certo così macabre. A giurarlo è chi Conte nei derby d’Italia l’ha già visto, non in panchina ma in campo, e l’ha visto persino festeggiare la vittoria di una partita e di uno scudetto che meritavano di essere rivisti nella sua totalità. Ma quello è un ricordo non solo lontanissimo nel tempo: con il VAR d’altronde certi imbrogli sono impensabili e inattuabili, ma trovata la legge, si trova l’inganno. E l’Inter, che inganni ne ha trovati pure fin troppi nel corso della storia, non ci sta. Marotta e Conte si guardano intorno e per una volta, forse la prima, sentono quel rumore dei nemici di cui parlava l'odiato Mourinho.

Magheggi, rimescolamenti di carte e ridesignazioni di un asset che in maniera clamorosamente lapalissiana tende a sfavorire soltanto alcuni e favorire soltanto altri senza retorica alcuna. Allo stesso modo, con altrettanta mancanza di retorica tuona la Curva Nord che, rievocando un passato che parrebbe tornare fin troppo attuale, espone uno striscione davanti la sede della Lega Serie A: Calciopoli ci risiamo?

E chissà che persino Conte non abbia pensato alle folli ragioni dei vinti di quello Juventus-Inter di ventidue anni fa, quello vissuto dall’altro lato della barricata, dalla parte di cui era “simbolo”, come lo ha definito Agnelli. Provocazione alla quale Conte ha preferito non rispondere, chissà perché. Forse perché persino lui, che di quella Juventus ne portava la fascia e che quello scudetto lo alzò, si è reso conto di quanto tangibile fosse quell’iniquità che gli interisti lamentavano e che lui non percepiva. Ma d’altronde si sa, per vedere l’altro lato della luna bisogna guardarla da un’altra prospettiva. E dalla prospettiva nerazzurra, il dark side di quella luna che prima vedeva solo illuminata Conte ha iniziato a vederlo soltanto ieri. A poco più di ventiquattro ore del derby d’Italia di cui sarebbe stato attore protagonista lo spettacolo viene cancellato: Juve-Inter annullata, o meglio, rimandata al 13 maggio. Tre giorni dopo il Genoa, quattro prima del Napoli e sette prima dell’Atalanta. Ma d’altronde anche la Juve si troverebbe in analoga situazione, se non fosse che, per avvalerci delle parole di Gattuso, le situazioni cambiano perché tra un mese o due sono partite totalmente diverse. Al 13 maggio infatti la Juventus non sarà la stessa di quella che sarebbe stata oggi e se è vero che gli episodi cambiano le gare (e infatti il VAR), altrettanto vale per gli episodi che falsano i campionati. E dov’è in questo caso la VAR review? Se giocare un derby d’Italia a porte chiuse avrebbe sconfitto l’immagine del calcio italiano (Dal Pino dixit), questa tarantella impostata male non lenisce forse alla credibilità del sistema stesso?

A chiederselo in primis è Beppe Marotta che parla di sconfitta, "non per l’Inter ma per il sistema calcio". Una frase che la dice lunga, e che sposta le lancette indietro nel tempo, ancora al 26 aprile 1998, quando Ronaldo disse: “Prima dell'Inter, ha perso il calcio”. Analogie? Forse troppe. E allora in questo flashback tanto dirompente, forse persino Antonio vorrebbe una DeLorean sulla quale salire a bordo, rimettere a posto la storia e cambiare il corso di quello che sarebbe stato il suo personale destino. Ma Conte non è Marty, Marotta non è Doc, e non c'è nessuna DeLorean e questo è un prezzo da pagare per essere intrappolati in un futuro che non è mai stato raddrizzato. E mai come oggi il derby d'Italia sembra intrappolato nel 1998.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 02 marzo 2020 alle 00:00
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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