In Olanda la stagione è già finita. Stesso discorso per la Francia e probabilmente per il Belgio. In Germania (pare) si vada verso il proseguimento della stagione, mentre Premier League e Liga restano in bilico.

E in Italia? Bella domanda. Davvero, vorrei avere la risposta. Ma mai come in questo periodo, e su tale argomento, arrivano notizie contrastanti.

Purtroppo, a parte il solito, ma comunque fondamentale e determinante: “prima la salute”, è difficile fare previsioni ed esporre una teoria giusta al mille per mille.

Se c’è una cosa che ho capito in questi due mesi di pandemia è che io sono diverso – almeno in determinate circostanze - dalla stragrande maggioranza degli italiani. Se prima mi identificavo – ma prendetelo con le pinze, per favore - con i milioni di tifosi che si credevano C.T. della Nazionale, o potenziali allenatori di caratura mondiale, oggi, per ovvi motivi che spero entrino nella testa di tutti quanti voi, non mi sento né un virologo, né tantomeno un politico che può avvalersi di uno staff con individui specializzati in medicina ed economia.

Ergo: è ovvio che l’assunto di base sia la vita umana. Su questo zero dubbi. Per il semplice fatto che – come ho già scritto – i soldi non servono a nulla nella tomba. E il denaro ha valore solo ed esclusivamente se ce lo si può godere. Però capisco anche che possa esserci la volontà di tentare di tornare ad una apparente nuova normalità, da parte di un settore così importante e specifico, a livello di passione e di pecunia, come quello del calcio.

Credo che il quesito più importante da porsi in questo momento sia il seguente: ci sono le possibilità, reali e concrete, che la Serie A possa ripartire con rischi bassissimi per tutte le persone che gravitano all’interno di una società della massima divisione?
Qui si deve tenere conto non solo di giocatori e allenatori. Ma anche dei preparatori atletici. Dei magazzinieri. Di chi lavora negli uffici stampa e si occupa dei social. Di noi giornalisti. E così via. Non parliamo di 30 persone a squadra, eh no. Ma di un numero molto, molto più altro.

E siccome la vita dell’ultimo impiegato di qualsiasi società deve avere lo stesso valore di quella di Messi e di Cristiano Ronaldo (e su questo non accetto un contraddittorio, perché non è che se uno guadagna più soldi è migliore di chi porta a casa uno stipendio meno esoso) qualora davvero si punti a riprendere il torneo Nazionale, che si tenga conto delle esigenze e della sicurezza di tutti.

Perché l’Italia deve essere diversa dalla Ligue One o dalla Bundesliga? La risposta di chi avrà agito meglio la avremo con certezza nei prossimi anni. Ma per ora auguriamoci solo che venga preso il miglior provvedimento possibile per la comunità calcio. E che tale decisione venga presa da esperti reali. Non da chi ha preso una laurea su internet in tuttologia.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 01 maggio 2020 alle 00:00
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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