Coraggio, lasciare tutto indietro e andare, partire per ricominciare. La cantava Cremonini, la eseguiva l'Inter di Antonio Conte, che ieri sera al San Paolo ha premuto il tasto play riprendendo lì da dove tutto si era fermato perché, diciamocela tutta, per ogni interista (e in verità di ogni amante per calcio, e oseremmo dire per ogni italiano) quello Juventus-Inter, giocato nel silenzio dello Stadium emblema di un'Italia attonita e sconvolta, è esistito solo ai fini della classifica. La vera e autentica ultima gara giocata dalla squadra di Antonio Conte risale al 12 febbraio, per l'appunto tra Inter e Napoli a San Siro, quando la compagine di Gennaro Gattuso si portava un passo avanti all'Inter verso Roma grazie alla rete di Fabian Ruiz, ieri subentrato dalla panchina. 

Tutto il resto è storia, compresa la battuta d'arresto arrivata sul più bello persino per Christian Eriksen, che qualche settimana prima dello stop definitivo della stagione calcistica aveva messo a segno il primo gol con la maglia nerazzurra. Ed è proprio sul danese che Antonio Conte ripone la sua fiducia nella gara del restart, scelto ai danni di Stefano Sensi che, recuperato dal lungo infortunio che lo ha tormentato per diversi mesi, resta in panchina. Una scommessa che ripaga immediatamente la lungimiranza del leccese, ma solo parzialmente. Bastano due soli minuti all'ex Tottenham per chiarire le motivazioni che hanno spinto Marotta e Ausilio a puntare forte su di lui: con il fiuto per la porta e una caratura tecnica degna del suo nome, dalla bandierina calcia un corner tagliato e tagliente, che beffa Di Lorenzo e batte Ospina per il vantaggio degli ospiti; un gol 'olimpico', come lo chiamerebbero in Sud America, che vale il pareggio in assoluto. Due minuti (più i restanti quarantatre del primo tempo) per zittire gli haters, i restanti quarantatre (minuti in campo nel secondo tempo) riaprono qualche dubbio e fanno speculare su un cambio che, a due minuti dal triplice fischio, non lascia molto spazio neppure alla fantasia. 

Con buona pace di Conte infatti il dna dell'Inter è immutato e dopo una partenza alla "Antonio style" la Beneamata si fa sorprendere come mai l'uomo sulla panchina vorrebbe e, su un lancio lungo di Ospina dritto su Insigne che manda al bar Young, il Napoli passa in vantaggio con quel tanto noto Dries Mertens. Oltre il danno pure la beffa. Il belga, 'naturalizzato' napoletano, che fino a poco meno di un mese fa era ad un passo dal trasferimento a Milano, infligge l'ennesimo flagello alla Beneamata che finisce con l'essere sedotta, abbandona ma anche eliminata. Basta la rete del numero 14 partenopeo per mandare fuori gioco i milanesi che malgrado una buona partita non trovano il secondo varco per battere l'estremo difensore azzurro, indiscusso uomo partita dei padroni di casa. Il portiere colombiano dopo l'errore sul gol non ne sbaglia una e mette le mani ovunque, blindando la porta, la via per la Capitale ma soprattutto verso il primo palpabile Trofeo sul quale l'Inter aveva diritto e dovere di provare a mettere le mani.

Eppure Conte, l'uomo che sorride solo di rado e si soddisfa ancor meno, consola e spronta i suoi come meglio non può ed esattamente come le prime sfumature di errore di inizio stagione "non ha nulla da rimproverare ai suoi" e vede il bicchiere mezzo pieno e dice: "Si può migliorare in tutto, abbiamo fatto quello che abbiamo provato in allenamento, provando anche a migliorare quello che facevamo prima. Mi spiace per i ragazzi che avrebbero meritato di giocare la finale”. E dopo una pausa durata fin troppo, malgrado una serata ormai andata, coraggio, lasciare tutto indietro e andare, partire per ricominciare che non c'è niente di più vero di un miraggio. E per quanta strada ancora c'è da fare, amerai... Se non la finale, si spera quantomeno il finale.

VIDEO - NAPOLI-INTER 1-1, LA DELUSIONE DI TRAMONTANA

Sezione: Editoriale / Data: Dom 14 giugno 2020 alle 00:12
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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