L’obiettivo dichiarato del consolidamento sta generando una contrapposizione di sentimenti, un contrasto di idee su risultati, gioco e interpreti di questa Inter.
L’Inter ha battuto l’Udinese dopo un'enorme fatica ed è collocata ad un terzo posto inattaccabile per uno o due turni. In Campionato si sta rispettando lo scopo di rafforzare la propria dimensione, la squadra ha reagito all’eliminazione dalla Champions ma questo non toglie l’amaro in bocca, perpetuando la frustrazione di aver fallito il primo traguardo.
L’ambiente nerazzurro lascia sempre intendere che abbia grandi ambizioni ma ricorre puntualmente ad una forma di perdonismo, di amore incondizionato per il quale c’è sempre una giustificazione agli insuccessi di ogni stagione. Questa società viene da un quarto posto ottenuto dopo un rocambolesco successo in casa della Lazio che rappresenta la cosa migliore capitata all’Inter negli ultimi sette anni.
Parliamo di una qualificazione strappata per i capelli all’ultima giornata di Campionato ma vissuta, anche personalmente, come un evento entusiasmante.
La Champions League ha in effetti esaltato l’ambiente grazie ai due successi consecutivi e a quella posizione nel girone che aveva messo in condizione di amministrare meglio il proprio destino. Sapere tuttavia che quel ricordo di Vecino in gol quasi allo scadere col Tottenham, il successo in Olanda e Icardi che salva il pareggio col Barcellona siano stati eventi del tutto inutili, svuota il contenuto dell’euforia e riempie quello dell’esperienza.
Quel tipo di sentimento che avrebbero dovuto garantire giocatori di lungo corso, travolti come gli altri da quella frenesia di cui lo stesso Spalletti ha parlato, perché praticamente nessuno, tranne Asamoah aveva trascorsi di livello in questa competizione, proprio lui ha causato il gol che ha sepolto la squadra nelle sue insicurezze. Se il Tottenham avesse battuto il Barcellona (e ci è andato vicino) e l’Inter il Psv, sarebbe stata un’eliminazione dolorosa ma “accettabile”, invece l’Inter si è esclusa da sola.
L’argomento di questi giorni è stato tuttavia Spalletti e la sua inadeguatezza, travolto dalle critiche per quel modulo sempre uguale, beccato per il gioco prevedibile, assediato per quel linguaggio spesso inintelligibile, dichiarato colpevole dalla giuria dell’opinione pubblica. La sovrapposizione dell’arrivo di Marotta ha portato immediatamente al nome del suo possibile sostituto: Antonio Conte e il conto alla rovescia per una nuova prossima stagione di grande livello, è già cominciata.
Stupisce sempre vedere come da anni la narrativa sull’Inter passi sempre dai nomi, dagli uomini del destino, i risolutori dei problemi e portatori di sogni, regalando sempre più noiosamente un periodo dedicato all’illusione e un altro al dramma.
È arrivato Marotta e gli si confeziona l’abito della provvidenza, si evocano nomi di giocatori per farcire il miraggio, si candidano Simeone e Conte per gonfiare il futuro e appiattire il presente, un presente che ha sempre torto.
Sconsolante vedere dunque come tutto giri intorno a uomini che hanno un consenso dalla durata brevissima e non si ragioni attraverso una dirigenza che si muove in un modello di calcio totalmente diverso rispetto anche solo a dieci anni fa.
L’Inter aspira ad essere una componente importante di quel ristretto gruppo di club che già da diversi anni monopolizza il calcio europeo e mondiale ma non può vivere in modo estemporaneo. La Uefa ha polarizzato i vertici del calcio, tra cinque anni la Champions League diverrà la Superlega che i tifosi in tutta Europa pochi anni fa ripudiavano. Cambierà tutto e ce la propineranno e ce la faranno digerire come un Mondiale in Qatar a dicembre e ci dovremo pure adeguare. Perché alla fine al tifoso va bene tutto alla lunga.
In un contesto composto più da business, bilanci, politica e marketing e una residua traccia di sport, perché l’Inter possa essere competitiva tra club di altissimo livello dovrà cambiare i suoi criteri e realizzare un progetto societario, che non si affidi agli uomini ma ad un sistema di lavoro, ad un pensiero organizzato che non accetti altro che la vittoria.
È cinico ma è la realtà di un pianeta calcistico in cui l’Inter con Suning ha già intrapreso un percorso che ha l’aria di essere più strutturato ma che ha bisogno di più coraggio e lungimiranza. Accontentarsi di fare una buona Europa League, di andare più lontano possibile in Coppa Italia e tenere il terzo posto non sono opzioni.
Spalletti e la società devono convincere la squadra che le uniche scelte sono quelle di avere l’ossessione di vincere Europa League e Coppa Italia, di tentare l’aggancio al Napoli, di trovare soluzioni senza accontentarsi di una vittoria sull’Udinese o per una striscia di vittorie che, ogni anno, viene salutata come eccezionale e invece è solo normale se dopo questa arrivano le immancabili sconfitte in serie, le quali in un mese cancellano le ambizioni più grandi.
Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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