In attesa di scoprire se il terzo posto è un traguardo ancora raggiungibile in questa stagione, mercoledì scorso l'Inter ha ricevuto in dono dalla UEFA la (quasi totale) garanzia di poter partecipare alla Champions League 2018-2019, la versione 4X4 che estende gli inviti al grande ballo del calcio continentale alle quattro migliori classificate nei quattro migliori campionati, stabiliti come sempre attraverso i coefficienti del famoso ranking.
Una conquista epocale per la Serie A che però non deve essere vissuta come un diritto divino: nel corso delle stagioni a venire, infatti, le magnifiche 7 del nostro calcio dovranno mantenere a ogni costo questa posizione di privilegio, visto che - in caso contrario - si ripiomberebbe nella scomoda situazione dello 'sbarramento' con sole due squadre ai gruppi e una addirittura al terzo preliminare.
Vedendo la faccenda dal lato nerazzurro del Naviglio, verrebbe da dire che è un vero peccato che la riforma voluta dal presidente Aleksander Ceferin verrà attuata con una stagione di ritardo rispetto alla tabella di marcia 'rallentata' di Icardi e compagni che – paradossalmente – potrebbero ritornare a far parte dell'élite allargata del calcio nella stagione successiva a quella in cui (la prossima) tra i confini nazionali Suning non ammetterà un posizionamento in classifica diverso dai primi due. Tradotto: l'imperativo è quello di giocarsi lo scudetto con la Juventus, non sono ammessi altri progetti.
In parallelo al campionato, inoltre, ci sarà da onorare l'Europa (che sia di Serie A o di Serie B), magari con un senso di responsabilità maggiorato che impone a tutte le rappresentanti del nostro calcio - unite in una immaginaria nazionale azzurra per club - di mantenere intatto a suon di qualificazioni lo status di privilegio raggiunto sulla cartina geografica del calcio del Vecchio Continente.
Ben consapevole che l'auspicio di cui sopra è praticamente irrealizzabile, l'Inter dovrà aiutarsi da sola ritrovando il prima possibile, e senza autogol clamorosi dentro e fuori dal campo, la strada maestra che la porterà alla Superchampions, quel torneo ibrido tra Superlega di segno statunitense e Champions europea vecchio stampo che attraverso il suo meccanismo a selezione storico-meritocratica premierà i 5 grandi Paesi che producono l’86% del fatturato ma che finora non hanno avuto il giusto tornaconto economico.
In soldoni: l'Inter, che il palcoscenico più prestigioso per squadre di club non lo vede dal 2012, si ritroverà come catapultata in un'altra dimensione temporale di un torneo che ancora non esiste ma che promette più spettacolo, pubblico e, quindi, più incassi. Si è stimato, infatti, che con questa modifica strutturale il fatturato annuo dovrebbe attestarsi vicino ai 3 miliardi di euro, 2,4 dei quali distribuiti ai club (di Champions e di Euroleague). Ci saranno, inoltre, due ranking: quello sportivo e quello finanziario, che influirà sui premi da distribuire ai club (15% dal market pool; 25% fisso partecipazione; 30% per i risultati nel torneo; 30% per i risultati storici).
Insomma, il messaggio inviato da Nyon all'Inter e alle altre nobili decadute suona più o meno così: “l'importante è esserci, poi il resto viene da sé, che sia per valori acquisiti nel presente o per l'eredità di un glorioso passato". Così facendo, l'organo che amministra il calcio europeo ha raggiunto quel compromesso storico per evitare la creazione di sistema chiuso in stile NBA, ricusato giusto l'altro ieri da Ceferin alla Football Talks di Lisbona: "I format devono rimanere gli stessi perché deve essere un sogno per tutti i club partecipare alle competizioni europee. La Champions non può essere una competizione chiusa".
Nulla di sconvolgente, ma ora la domanda che sorge spontanea è una: che provvedimenti si adotteranno per far sì che la competitività all'interno della competizione stessa sia reale? Accantonato, almeno in parte, il fallimentare progetto del Fair Play Finanziario firmato Michel Platini, Ceferin ha buttato lì un'idea che a, occhio, sembra irrealizzabile: “La Uefa - ha spiegato il dirigente sloveno - dovrebbe esaminare nuovi meccanismi come luxury tax, tetti alle rose e norme sui trasferimenti per evitare l’eccessiva concentrazione di talento in poche squadre". In pratica, così stando le cose, il Barcellona potrebbe essere 'costretto' a cedere Messi pena l'estromissione dalla Champions perché in rosa ha già Suarez e Neymar. Non proprio una decisione democratica, se presa così dal nulla. L'assunto di base da cui parte il dirigente sloveno confonde la causa con l'effetto, proprio perché quello che accade nei tornei continentali è la risultanza della differenza tecnico-economica che esiste tra i vari campionati nazionali. Quindi, le strade percorribili sono due: Superlega, quella vera, nel quale un ipotetico salary cap avrebbe senso oppure solito torneo a 32 squadre, con 16 eccellenze nazionali assicurate, ma con la controindicazione che la torta del vincitore se la continueranno a spartire le 4 o 5 superpotenze.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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