Carlo Alberto dalla Chiesa poteva essere tutt'altro che un generale. Da piccolo prometteva bene, giocava a calcio e sembrava proiettato verso una carrirera tra i professionisti, ma "un gravissimo infortunio alla gamba gli chiuse anzitempo la carriera" scrive Il Corriere della Sera. "Ma la passione per il calcio di Carlo Alberto dalla Chiesa, il più famoso e amato carabiniere d’Italia lo accompagnò, per sua precisa (e decisa) volontà, in ogni caserma". In ogni caserma in cui prestava servizio c'era sempre un maresciallo che nel suo tempo libero era incaricato di organizzare partitelle di calcio nel piazzale.
E la passione per il calcio, e per l'Inter, lo portava spesso al Meazza a seguire i nerazzurri. Massimo Moratti, questo, lo ricorda molto bene: "Due file dietro di noi, in tribuna, proprio alle nostre spalle. Papà con me e Gianmarco, e lui col figlio Nando e a volte Rita. E guardi, era interista vero. Sono cose che si capiscono al volo". Come quelle volte in cui "al primo nostro gol mica gioiva, perché si sa, il calcio è imprevedibile e nel caso dell’Inter più che imprevedibile. Si manteneva serioso e silente in attesa del raddoppio o del fischio finale per avere la conferma della vittoria - continua l'ex Patron interista -. Ma a successo incassato, niente cambiava: l’atteggiamento rimaneva composto, semmai subentrava una poderosa stanchezza. Dello stadio ho questa concezione: la partita bisogna viverla concentrati, con partecipazione. Le persone che si distraggono, parlano d’altro col vicino di posto, che scherzano e ridono... Mah, non le ho mai capite... È anche un festa, un divertimento, per carità, ma bisogna sapersi porre nel modo giusto... Ci vuole un’adeguata “tensione” che, nel mio caso, produce un’incredibile stanchezza con profondi attacchi di sonno. Ecco, dalla Chiesa interpretava così le domeniche a San Siro, senza dimenticare che del calcio era un intenditore. Guardava i più talentuosi, certo, ma gli piaceva l’immagine d’insieme che la squadra rimandava, la sua solidità difensiva, la compattezza. Insomma, un tifoso di quelli rigorosi. Nonostante, s’intende, le sue enormi responsabilità".
L'inquadramento storico è fissato tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60, quando dalla Chiesa venne inviato a Milano per guidare la Compagnia e il Gruppo in via Moscova, dopo aver prestato servizio a Corleone, Firenze e Como. Era una milano a due facce: da una parte la protagonista del boom economico, dall'altra il palcoscenico "degli assalti da far-west alle banche, delle gang che si sparavano per strada, dei disperati nelle baracche di periferia che per mangiare non esitavano ad ammazzare". Moratti continua nel suo ricordo: "Mi dicono che non portasse mai tassativamente il lavoro a casa e in questo era identico a papà. Mi spingo a dire che i due si somigliassero parecchio. Due giganti. Energici, trascinatori, legatissimi alla famiglie, padri avari di complimenti in privato ma ai quali s’illuminavano gli occhi se all’esterno parlavano dei loro ragazzi... S’incontravano spesso, in ufficio da mio padre o in via Moscova. Lei prima diceva dei problemi, di quei tempi, della 'mala' e dei sobborghi. Vero. Ma mi riesce difficile spiegare, a chi non c’era, quali anni furono nella loro interezza".
Moratti nei '50 era ancora giovane, ma ricorda dai racconti di casa che vi era un'enorme voglia di risallire la china, "una ripartenza celebrata dallo splendore degli anni Sessanta. Che Milano... Una ricerca pazzesca di cultura, un entusiasmo collettivo, uno slancio a ogni livello per generare benessere pensando alle nuove generazioni. Far paragoni con oggi è impossibile e non vorrei mancare di rispetto ai tanti giovani che hanno meno certezze e sono meno aiutati dalla società a sviluppare i talenti. Ma è indubbio che questa città sia un luogo che premia: se fatichi, non ti volterà mai le spalle ma ti aspetterà e un giorno ti ridarà indietro tutto. Noi milanesi il generale l’abbiamo amato e abbiamo pianto, pianto di disperazione. Negli anni Settanta del terrorismo, sapere che c’era dalla Chiesa a guidare il Nucleo contro le Brigate rosse fu uno dei pochi motivi per coltivare la sicurezza che la violenza, le tragedie, il terrore sarebbero cessati. Perché non poteva essere altrimenti", conclude l'ex proprietario dell'Inter.
Autore: Filippo M. Capra / Twitter: @FilMaCap
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