"Serve esperienza. A chi la chiediamo, a Barella che abbiamo preso dal Cagliari o a Sensi che viene dal Sassuolo?". Si chiudeva così la partita tra Borussia Dortmund e Inter, quando la squadra capeggiata da Antonio Conte perdeva in rimonta contro il muro giallo tedesco dopo un primo tempo magistrale che aveva seminato sogni di gloria tra i nerazzurri. Una replica di quello che era stato il ko di Barcellona qualche settimana prima, dove anche in quel caso l'Inter aveva giocato una delle migliori partite, speranze infrantesi poi contro l'esperienza dei singoli.
Dopo quel 3-2 di Dortmund si palesava il primo vero mal di pancia di Antonio Conte, avvertito dopo solo qualche mese dall'arrivo e all'indomani di una sessione di mercato che aveva portato a casa tra gli altri i vari Nicolò Barella, Stefano Sensi e soprattutto Romelu Lukaku. Una considerazione, quella di Antonio, che tanto sapeva di inappropriato visti i due giocatori presi in esame, fino a quel momento tandem d'oro del centrocampo contiano, ma senza dubbio degna di nota. Sì, perché fino a quel momento nella rosa nerazzurra comparivano pochi nomi titolati e come tale l'inesperienza sui grandi palcoscenici pesava, seppur non interpretata dai sopraccitati. Da quel 5 novembre 2019 di acqua sotto i ponti ne è passata, compreso l'allenatore e un titolo da lui sottoscritto, ma come lo stesso più volte ha sottolineato (ad eccezione della dedica finale, conclusasi con un "lo dedico a me stesso"), "il merito è anche e soprattutto dei ragazzi che in questo anno e mezzo sono cresciuti e hanno dato l'anima".
Cresciuti e vaccinati. E dall'inesperienza di Dortmund i vari Nicolò Barella, Romelu Lukaku, Alessandro Bastoni, Lautaro Martinez e compagnia cantante, sono passati ai grandi riflettori con tanto di standing ovation. Una finale di Europa League, uno scudetto sul petto e dulcis in fundo una finale internazionale che vale, nessuno ce ne voglia, persino più della finale di Colonia dello scorso agosto. Se Big Rom è stato costretto ad abbandonare l'Europeo ai quarti di finale, punito anche e soprattutto dall'amico e compagno Nicolino, più splendido e big di Rom nello scontro tra i due, per Barella, Bastoni e Lautaro l'avventura Coppe non è ancora finita. Al contrario è giunta all'atto finale. Di nome e di fatto.
Due finali in meno di ventiquattro ore per i tifosi nerazzurri, che come da copione della classica grande famiglia, continueranno a supportare a distanza gli interisti nelle rispettive competizioni. Scontato e facile il supporto a B&B per la finale di Wembley, e altrettanto quello al Toro nella finale di Rio. Di facile però solo il supporto perché sia gli uni che l'altro hanno di fronte a sé la possibilità di agguantare la più grande della loro vita calcistica avuta fino a questo momento, ma non la più semplice: in un emisfero l'Inghilterra, nell'altro il Brasile.
I primi a lottare contro Kane e Sterling tra gli altri a casa loro, il secondo contro Neymar, Casemiro e compagnia a casa loro. Due sfide che non lasciano sbilanciare neppure i più sicuri degli scommettitori, che in questo caso hanno da compiere una doppia scelta, una più complessa dell'altra. Una meno scontata dell'altra, ma tant'è e nell'incertezza di un pronostico che né in Europa del Nord, tantomeno in America del Sud s'azzarda a fare, i tre nerazzurri in ballo - o più appropriatamente in gioco - staranno recitando un padrenostro comune ai tre. "La storia la scrive chi vince le guerre" e per quanto vero sia che una medaglia d'argento resta pur sempre una medaglia, altrettanto vero è che il secondo è il primo dei perdenti.
E allora il buon (o cattivo, dipende dal punto di vista) Antonio ritorna in mente, esattamente come la finale di Colonia, il cui esito sarà di certo l'esito da voler evitare. Ma malgrado le parole di lode sempre espresse nei confronti dei tre in esame, rincarate dalla dose di meriti espresse ieri al Telegraph secondo cui "Barella è migliorato molto, ha tantissima energia e in una sola partita può correre quanto la maggior parte dei giocatori riesce a fare in due partite", Antonio è e ormai resta il passato, pur conservandone preziosamente gli insegnamenti, per Barella e Bastoni quanto per Lautaro. E, per dirla alla Mancini o alla Scaloni, "la calma è la virtù dei forti" e se mai il primo posto, per due di loro o per l'altro o addirittura per tutti e tre, non dovesse arrivare, di sicuro una cosa è inesorabilmente blindata: quella fantomatica esperienza, che oggi, di sicuro più che mai li ha resi grandi e non certo d'età.
Buona domenica (nero)azzurra a voi, InterNazionali.
VIDEO - ANEL AHMEDHODZIC, ECCO CHI E' IL NUOVO OBIETTIVO DI MERCATO DELL'INTER
Dopo quel 3-2 di Dortmund si palesava il primo vero mal di pancia di Antonio Conte, avvertito dopo solo qualche mese dall'arrivo e all'indomani di una sessione di mercato che aveva portato a casa tra gli altri i vari Nicolò Barella, Stefano Sensi e soprattutto Romelu Lukaku. Una considerazione, quella di Antonio, che tanto sapeva di inappropriato visti i due giocatori presi in esame, fino a quel momento tandem d'oro del centrocampo contiano, ma senza dubbio degna di nota. Sì, perché fino a quel momento nella rosa nerazzurra comparivano pochi nomi titolati e come tale l'inesperienza sui grandi palcoscenici pesava, seppur non interpretata dai sopraccitati. Da quel 5 novembre 2019 di acqua sotto i ponti ne è passata, compreso l'allenatore e un titolo da lui sottoscritto, ma come lo stesso più volte ha sottolineato (ad eccezione della dedica finale, conclusasi con un "lo dedico a me stesso"), "il merito è anche e soprattutto dei ragazzi che in questo anno e mezzo sono cresciuti e hanno dato l'anima".
Cresciuti e vaccinati. E dall'inesperienza di Dortmund i vari Nicolò Barella, Romelu Lukaku, Alessandro Bastoni, Lautaro Martinez e compagnia cantante, sono passati ai grandi riflettori con tanto di standing ovation. Una finale di Europa League, uno scudetto sul petto e dulcis in fundo una finale internazionale che vale, nessuno ce ne voglia, persino più della finale di Colonia dello scorso agosto. Se Big Rom è stato costretto ad abbandonare l'Europeo ai quarti di finale, punito anche e soprattutto dall'amico e compagno Nicolino, più splendido e big di Rom nello scontro tra i due, per Barella, Bastoni e Lautaro l'avventura Coppe non è ancora finita. Al contrario è giunta all'atto finale. Di nome e di fatto.
Due finali in meno di ventiquattro ore per i tifosi nerazzurri, che come da copione della classica grande famiglia, continueranno a supportare a distanza gli interisti nelle rispettive competizioni. Scontato e facile il supporto a B&B per la finale di Wembley, e altrettanto quello al Toro nella finale di Rio. Di facile però solo il supporto perché sia gli uni che l'altro hanno di fronte a sé la possibilità di agguantare la più grande della loro vita calcistica avuta fino a questo momento, ma non la più semplice: in un emisfero l'Inghilterra, nell'altro il Brasile.
I primi a lottare contro Kane e Sterling tra gli altri a casa loro, il secondo contro Neymar, Casemiro e compagnia a casa loro. Due sfide che non lasciano sbilanciare neppure i più sicuri degli scommettitori, che in questo caso hanno da compiere una doppia scelta, una più complessa dell'altra. Una meno scontata dell'altra, ma tant'è e nell'incertezza di un pronostico che né in Europa del Nord, tantomeno in America del Sud s'azzarda a fare, i tre nerazzurri in ballo - o più appropriatamente in gioco - staranno recitando un padrenostro comune ai tre. "La storia la scrive chi vince le guerre" e per quanto vero sia che una medaglia d'argento resta pur sempre una medaglia, altrettanto vero è che il secondo è il primo dei perdenti.
E allora il buon (o cattivo, dipende dal punto di vista) Antonio ritorna in mente, esattamente come la finale di Colonia, il cui esito sarà di certo l'esito da voler evitare. Ma malgrado le parole di lode sempre espresse nei confronti dei tre in esame, rincarate dalla dose di meriti espresse ieri al Telegraph secondo cui "Barella è migliorato molto, ha tantissima energia e in una sola partita può correre quanto la maggior parte dei giocatori riesce a fare in due partite", Antonio è e ormai resta il passato, pur conservandone preziosamente gli insegnamenti, per Barella e Bastoni quanto per Lautaro. E, per dirla alla Mancini o alla Scaloni, "la calma è la virtù dei forti" e se mai il primo posto, per due di loro o per l'altro o addirittura per tutti e tre, non dovesse arrivare, di sicuro una cosa è inesorabilmente blindata: quella fantomatica esperienza, che oggi, di sicuro più che mai li ha resi grandi e non certo d'età.
Buona domenica (nero)azzurra a voi, InterNazionali.
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