Si dice che la pazienza si acquisti con l'età. Ne ha avuta tanta sino a oggi Mateo Kovacic, anni 20, arrivato all'Inter a 18 dopo una vita trascorsa sempre palla al piede fra l'infanzia a Linz e la gioventù a Zagabria, e con la 10 nerazzurra che fu di Ronaldo, Baggio e Sneijder - fermandoci alle ultime due decadi - pronta a essere sfoderata con gli insoliti caratteri slavi, poi sballottato da una parte all'altra del centrocampo per trovargli la migliore collocazione. L'investimento da 11 milioni di euro era stato acclamato dagli addetti ai lavori: l'Inter ha messo a segno un vero colpo. Sono bastati i primi guizzi e qualche battuta in un italiano appreso quasi a tempi di record mourinhani per mettere in mostra classe e maturità di un talento che era già destinato a trasformarsi in un tesoro.
Talento deciso a sbocciare in un'Inter che dà l'addio all'Europa dopo quattordici anni. Stramaccioni ha il merito di forgiarlo per la A, sebbene in una rosa non all'altezza degli obiettivi prefissati e durante l'anno falcidiata dagli infortuni. Le qualità di Kovacic risaltano ancora di più in un undici mutilato sotto l'aspetto tecnico e tattico. Il croato ha libertà d'iniziativa e sorprende per le accelerazioni e la visione di gioco, mentre i difetti vengono nascosti nel contesto di una squadra diretta alla deriva. In estate si cambia registro con Mazzarri che fa del collettivo la base su cui costruire i propri traguardi. Kovacic non è più il talento da svezzare ma un soldato già arruolabile dal sergente WM, che dopo averlo studiato si accorge dei limiti evidenti in fase di non possesso.
Col tempo Kovacic dimostra di non essere né lo Xavi o l'Iniesta né l'Hamsik che in tanti avrebbero voluto riscoprire in nerazzurro. Cresce di pari passo con la caduta del progetto tecnico di Mazzarri, venendo poi nuovamente messo ai margini da Mancini. Da interno, ala (stavolta il paragone dello stesso tecnico è con David Silva) o trequartista, il suo apporto offensivo alla manovra è sempre stato insufficiente per i diktat in campo del nuovo mister. L'arrivo di Shaqiri lo mette di fronte a una concorrenza oggi impossibile da superare. Perché Mancini ha già disegnato i suoi schemi a centrocampo e per il ventenne Mateo non c'è spazio. Troppo spesso inconcludente quanto impalpabile nelle fasi cruciali del match, Kovacic è costretto a fare i conti con un'altra bocciatura.
Gli allenatori dell'Inter non hanno mai capito qual è il suo vero potenziale se utilizzato nel giusto ruolo, parafrasando le recenti affermazioni dell'agente Nikky Vuksan. Ma la realtà dei fatti è che nessuno sa chi sia oggi Mateo Kovacic. Non è la stella esplosa a Zagabria né l'erede degli assi del Barça, e forse neppure un giovane su cui l'Inter può permettersi di puntare per il futuro, nonostante la firma sul rinnovo servito anche a mantenere alta la valutazione che ne fa il club. Un'altra stagione cruciale incombe, stavolta sotto la guida di un allenatore-manager che ha scelto volutamente di alzare il tiro. La parola scudetto si coniuga male con rebus e dubbi, quelli che la società nerazzurra dovrà sciogliere in sede di mercato. Oggi Kovacic è un tesoro rimasto rinchiuso nel proprio baule. Spetterà a lui superarsi e uscire fuori alla ribalta, altrimenti all'Inter e a Mancini trarne diversi vantaggi.
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
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