Altro frammento della lunga intervista di Antonio Conte alla Gazzetta dello Sport. Il tecnico nerazzurro difende il suo lavoro con l'Inter, non alza bandiera bianca per la Champions e maledice il virus.

Nessuna squadra di A ha un allenatore già abituato a vincere come Conte. Che è anche il più pagato per distacco...
"Quello che guadagno lo stabilisce ciò che ho fatto nella mia carriera. Nessuno ti regala niente nel calcio. So che vengono riposte tante speranze perché ci sono io e lo accetto. Ma anche Klopp a Liverpool è stato i primi 4 anni senza vincere nulla ed è servito tempo e innesti importanti ogni stagione per costruire una squadra tra le più forti al mondo. Noi veniamo da anni in cui in Italia c’è una squadra dominatrice assoluta. E quando questo accade quella squadra scava un fosso tra lei e le altre, crea un gap. Chi insegue spesso invece di lottare per colmarlo, si è adattato ad essere il primo tra i secondi. Senza lavorare su tutti quei particolari che ti portano a migliorare davvero in tutto. Voi vedete il risultato del campo. Ma le partite si vincono in settimana e per riuscirci c’è bisogno che funzioni tutto. Quando sono venuto all’Inter non conoscevo nulla... Né le strutture né l’ambiente né le componenti del club né il settore sanitario. C’è voluto un po’ per capire e farmi capire. Ora conosco tutto e tutti, ed è un grande vantaggio. Sono state cambiate tante cose in un anno: i campi, la foresteria, le strutture, le abitudini. La società e chi lavora nell’Inter mi supporta e mi... sopporta (sorride, ndr). E stiamo migliorando insieme".

Champions: ce la farete a passare il girone?
"Serve una impresa. Ma abbiamo dimostrato nelle tre partite giocate, nonostante i risultati non ci abbiano sorriso, di poterci stare. E faremo di tutto per restarci".

Il suo mantra è far crescere il livello di eccellenza del mondo Inter, attraverso la cura di ogni minimo particolare da parte di tutti. Quanto è difficile riuscirci nel pieno di una pandemia che porta spesso e comprensibilmente la mente altrove?
"Tanto, lo so... E’ una stagione anomala, strana, delicata, drammatica se ci guardiamo intorno. E chi gestisce un gruppo ha il dovere di capirlo. Non si può esercitare la leadership sempre nello stesso modo. Bisogna alternare bastone e carota. Abbiamo dei doveri verso società, tifosi e restare focalizzati sugli obiettivi con dedizione e concentrazione. Ma poi i ragazzi tornano a casa e magari hanno la moglie o i parenti o gli amici con il Covid. Oppure, come ci è capitato, vengono a sapere tre ore prima della partita che un loro compagno con cui si sono allenati è positivo e si preoccupano. Io magari mi arrabbio per qualcosa non fatta bene, ma poi penso anche che molti hanno avuto solo una settimana di vacanza, giocano ogni tre giorni, viaggiano con le Nazionali. Ora si è fermato anche Brozovic, un altro guaio. Abbiamo affrontato alcune partite con 13 giocatori disponibili tra Covid e infortuni. Così la gestione è dura. Ma poi se parliamo di cosa sta succedendo negli ospedali, dei morti, di chi si ammala seriamente, il pallone, che pure assorbe tutta la mia vita, non può che restare sullo sfondo".

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Sezione: Copertina / Data: Dom 15 novembre 2020 alle 09:24 / Fonte: Gazzetta dello Sport
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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