Il 20 agosto 2005 è un giorno marchiato a fuoco nei ricordi dei tifosi nerazzurri. A Torino, la squadra di Roberto Mancini, fresca vincitrice della Coppa Italia, affronta ad armi pari e batte la Juventus di Fabio Capello, ai tempi campione d’Italia (il grande scandalo non era ancora scoppiato) e si aggiudica la Supercoppa di Lega. A mettere a segno il gol decisivo, nella tana del lupo e sotto un diluvio torrenziale, è Juan Sebastian Veron che con un tocco felpato dei suoi mette a sedere Antonio Chimenti e la Juventus, che non riuscirà più, pur con 24 minuti a disposizione, a superare il muro difensivo nerazzurro, con grande soddisfazione dei tifosi accorsi al “Delle Alpi”, che quella sera potettero godere di uno degli incantesimi più belli della Brujita.
E’ questo il ricordo massimo con cui potremmo salutare questo campione che ha detto basta all’età di 37 anni lo scorso sabato con addosso la maglia del suo Estudiantes. Cos’altro si potrebbe dire sul Veron calciatore? Il palmares parla da solo: quattro Tim Cup con le maglia di Parma, Lazio e Inter, tre Supercoppe italiane con le maglie di Parma, Lazio e Inter, due campionati italiani con Lazio e Inter, una Premier League con la maglia del Manchester United, una Coppa Uefa con il Parma, una Supercoppa Europea con Lazio, oltre a due campionati e una Libertadores con l’Estudiantes. Con la nazionale albiceleste un totale di 73 presenze, una medaglia d’argento alle Olimpiadi di Atlanta e un secondo posto nella Copa America del 2007.
Vittorie e numeri da capogiro per colui che nel 2004 Pelè in persona inserì nella prestigiosa Fifa 100, la classifica degli immortali. All’epoca era ancora nel Chelsea e qualche mese dopo sarebbe tornato in Italia con la maglia nerazzurra per volere di quel Roberto Mancini con il quale il rapporto era d'amore e odio. Juan però era fondamentale per il Mancio e soprattutto per quell’Inter che stava per dare inizio a quel meraviglioso ciclo di vittorie. Veron ebbe da subito in mano le chiavi del gioco nerazzurro: schierato davanti alla difesa, prendeva la squadra per mano e la conduceva indenne attraverso le fasi più dure delle partite. La sua carica, la sua leadership, il suo destro fatato erano le principali doti.
Quest’ultima in particolare faceva impazzire Massimo Moratti e gli amanti del calcio in generale. I suoi cambi di gioco di oltre quaranta metri, soprattutto quando sventagliati con l’esterno del piede destro, erano una delizia per palati fini. Occhi strabuzzati e pieni di meraviglia quando il pallone s’incollava al piede del compagno. Ma Veron non era solo questo: era una presenza importante nello spogliatoio di un’Inter che doveva ancora capire realmente la sua forza, era un leader che parlava poco, ma quando parlava rilasciava bordate forti e pesanti come quelle che metteva in fondo alla rete in campo. Schietto, sincero, sanguino e carismatico Veron ha un posto speciale nel cuore dei tifosi che amano i colori del cielo e della notte, affascinati dalla sua classe, dalla sua autorità e dai suoi incantesimi. Juan Sebastian Veron, un duro dal cuore d’oro, sabato scorso ha pianto pensando all'Italia e all'Inter.
Suerte, Juan!
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