È Lautaro Martienz il centro di gravità permanente nell'edizione di oggi di Sportweek e di questa Inter. A parlare del Toro interista è anche l'ex capitano Beppe Bergomi che dell'argentino dice: "Lautaro è uno che in campo non si risparmia mai, ed è ciò che chiede e vuole il tifoso. Lautaro mi sembra un ragazzo molto serio e quadrato".

Cosa la colpisce, in particolare?
"È diventato il leader tecnico ed emotivo della squadra. Mi sembra ormai un giocatore maturo. Non sorride tanto, ma neanch’io lo facevo. Però si vede che ha un atteggiamento positivo, che gli viene riconosciuto dalla gente e, quel che più conta, dai compagni. Leader per me è quello che ha la capacità di attrarre a sé le persone, e Lautaro ha questa capacità. In campo dà l’esempio: se c’è da fare una corsa in più all’indietro non si risparmia, con Dzeko gioca in un modo e con Lukaku in un altro, dimostrando capacità di adattamento e, dunque, umiltà. In passato si intristiva quando non segnava per un lungo periodo. Oggi invece è sempre dentro alla partita. Non so se questo dipenda dall’essere diventato campione del mondo con la sua Argentina, dalla consapevolezza, acquisita dopo cinque anni di Inter, di cosa voglia dire vestire questa maglia, oppure dalla paternità. Ho visto che Augustina, la sua compagna, aspetta il secondo figlio: avere accanto la donna giusta, quella che ti dà serenità e con la quale costruisci un progetto di famiglia e di vita, regala carica e fiducia all’uomo e al calciatore. Noi abbiamo spesso troppa fretta nel giudicare un calciatore, e invece gli va dato tempo. Un attaccante a volte "arriva" dopo; però, quando tocca un certo livello di rendimento, poi lo mantiene nel tempo. Per restare all’Inter, guarda Dzeko, che a 37 anni continua a essere determinante. La differenza tra un buon giocatore e un campione la fa la continuità di rendimento, e Lautaro in questo momento la sta avendo".

Sulla leaderhisp:
"Anche se adesso, pure in ambiti diversi dal calcio, si confonde la leadership con la propensione a spararla grossa e a non farsi problemi nel criticare gli altri. Prima ancora, si pensa che basti il talento per essere un leader. Invece il talento non va mai disgiunto dall’educazione".

Detto ciò, chi erano i leader della vostra Inter?  
"Zenga, Ferri, Matthaus, Berti per i suoi comportamenti... Matthaus, per esempio, era leader perché prima della partita mi diceva: 'Oggi vinciamo e faccio gol io' e andava esattamente come aveva predetto. Zenga è stato un innovatore dal punto di vista tecnico. Per me è stato il miglior portiere in assoluto, ha rivoluzionato il ruolo. Walter aveva un carisma innato, per come stava in porta e per i suoi atteggiamenti che a qualcuno potevano sembrare addirittura sfacciati. Venivamo dai tempi di Zoff, la misura fatta persona, e passammo a Zenga che interpretava il ruolo in maniera opposta, con una presenza scenica molto appariscente. Uno che oggi gli somiglia è Maignan: avete mai visto un portiere che suggerisce ai compagni come disporsi e battere una punizione in attacco? E poi, Walter è stato il primo ad andare in tv, a fare la pubblicità".

Ti sei mai sentito leader?
"Io sono stato capitano, ma nella mia Inter c’erano tanti leader. Per quanto mi riguarda, ero quel che si dice un leader silenzioso. Oggi rilascio interviste, vado in televisione, faccio degli speech formativi nelle aziende, ma quando giocavo parlavo poco. Il mio modo di 'guidare' gli altri consisteva nell’essere un esempio per i più giovani, per gli stranieri che entravano nel mondo Inter e dovevano capire cosa significava vestire questa maglia. Ero leader perché entravo per primo all’allenamento e uscivo per ultimo". 

Sezione: Rassegna / Data: Sab 18 febbraio 2023 alle 10:21
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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