Dopo 14 partite di campionato e 27 punti in classifica, si può iniziare a stilare un primo bilancio in casa Inter. Rispetto alla scorsa stagione la squadra ha una identità consolidata, altrimenti non avrebbe perso, finora, una sola gara. E che il lavoro svolto da Mazzarri e il suo staff abbia basi importanti lo si evince proprio dai rimpianti. Mi spiego: l'Inter ha "rischiato" di vincere partite che le avrebbero regalato una classifica molto importante per quanto creato in campo e non per caso. Ma troppe volte, l'ultima domenica al Meazza con la Sampdoria, si è poi dovuta accontentare di un solo punto, facendosi rimontare il goal di vantaggio. E in questo caso, cosa bisogna tirare in ballo? Solo la sfortuna? No, quando il copione è sempre lo stesso non c'entra il fato.
Mazzarri si arrabbia, tira in ballo la concentrazione, la voglia di applicare alla lettera i sui input che, se recepiti, secondo il suo pensiero dovrebbero essere sempre vincenti, a parte l'imponderabile che nel calcio esiste. Ma... sì, un ma c'è. Il tecnico di San Vincenzo ha indubbie qualità che non ammettono repliche. Lo dicono i numeri e i numeri non mentono mai. La verità di Walter Mazzarri è che da quando allena non ha mai sbagliato una stagione, arrivando a dei picchi come la salvezza della Reggina nonostante una pesante penalizzazione, due finali di Coppa Italia, di cui una vinta alla guida del Napoli ai danni della Juventus campione d'Italia ed un secondo posto nella stessa stagione che significava Champions League diretta. All'ombra del Vesuvio cose del genere si erano viste solo ai tempi di Maradona.
Arrivato all'Inter, tramortita da due anni conclusi al sesto e al nono posto e alle prese con un nuovo corso della società tendente alla riduzione dei costi e quindi ad un ridimensionamento sul mercato, Mazzarri si è infilato la tuta, non ha staccato mai la spina e ha cominciato a trapanare il suo credo nelle menti dei giocatori. Le prestazioni di Jonathan e Alvarez, sino all'anno scorso nella lista più nera che azzurra dei tifosi interisti e la resurrezione di Cambiasso, se mai il Cuchu fosse calcisticamente morto, sono la prova provata delle qualità dell'allenatore. La squadra, poi, come dicevamo in apertura, ha una fisionomia definita, è riconoscibile, segue il cosiddetto canovaccio. E allora, dove sta il famoso ma?
Il ma sta nel fatto che l'Inter, a prescindere da giocatori, allenatori e anche moduli, non deve avere mai la mentalità della provinciale, quella che si è vista nel secondo tempo con la Sampdoria. I blucerchiati non avevano Cerezo, Vialli e Mancini con tutti i rispetto per i Pozzi e i Gabbiadini, così salviamo anche la rima. Eppure dopo lo svantaggio hanno giocato come se San Siro fosse casa loro, l'Inter come se si fosse a Marassi magari con un uomo in meno. E forse quell'uomo in meno c'era davvero, la famosa seconda punta, entrata solo nel finale e con evidente ansia di prestazione. Mazzarri dice che l'Inter ha giocato spesso un calcio spettacolare. E' vero, ma non si può sempre andare a duemila con i cosiddetti "tempi di gioco". Esiste anche la gestione della gara, il saper congelare la palla, cambiare pelle in pochi minuti.
Walter Mazzarri è un ottimo allenatore, lo abbiamo detto. Ma l'Inter non è la Reggina, non è la Sampdoria, non è il Napoli. Con tutto il rispetto per i i tifosi delle squadre nominate.
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