In rete sta ormai spopolando da qualche tempo #epicbrozo, un hashtag che porta la figura di Marcelo Brozovic, con la sua classica espressione, a posare nelle più disparate situazioni. E’ diventato un fenomeno virale, in attesa di scendere in campo per la prima giornata di Serie A, contro l’Atalanta. Dove, a detta di Roberto Mancini, è stato il migliore in campo. Schierato nella posizione di trequartista e successivamente di mezzala, perché lui e non Stevan Jovetic, autore del gol valso poi tre punti?
La risposta, analizzando la partita in tutte le sue sfaccettature, è di immediata comprensione. Brozovic è stata la chiave tattica che ha permesso a Mancini - con Hernanes non al meglio, Kovacic al Real Madrid e Guarin fuori uso. Come confessato dallo stesso giocatore, lui deve per forza di cose essere un trequartista atipico, non essendo dotato della classica visione di gioco e del tocco di palla del Dieci: sopperisce a queste mancanze con una corsa e una abnegazione che - osservandolo ciondolare per il campo nei momenti di non azione - non sembrerebbero essere cose sue. Invece Brozo corre dal primo all’ultimo minuto della sua partita, quando è costretto ad abbandonare il campo per una botta alla caviglia rimediatagli dall’irruento Pinilla. Crea tre azioni da gol, effettua quattro dribbling, arriva tre volte al cross e arpiona due palloni, sintomi che il bagaglio tecnico del giocatore è completo. Ha gamba per correre sulla fascia, piede per smistare (85% di passaggi riusciti) e intelligenza per difendere, come quando insegue Maxi Moralez - partito in contropiede - per tutto il campo, spingendolo sempre di più verso la linea laterale, dove Miranda poi sbroglia la faccenda e recupera il pallone. Magari non eccelle in nessuna caratteristica, ma Brozovic sa fare tutto. Mancini ha notato questa sua varietà di repertorio e - nella posizione di trequartista atipico - fornisce all’Inter quel dinamismo che in un paio di occasioni poteva sbloccare il risultato già nel primo tempo.
Già dal quarto minuto si vede come il croato si muove bene: il pallone è fra i piedi di Kondogbia, con Icardi che arretra come trequartista occulto (movimento che Maurito sente sempre più suo), così Brozovic non dà riferimenti e si butta nello spazio apertogli dal Nove, costringendo la difesa ad occuparsi di lui e lasciando libero Palacio di tagliare e ricevere palla sul filo del fuorigioco. L’azione porta ad un nulla di fatto, ma è chiaro che Mancini a Brozovic chiede di spaziare. In un’altra occasione l’Inter non riesce ad uscire con il giropalla, così è il croato ad abbassarsi - scambiandosi di posizione con Kondogbia: Mancio ne vuole tre sempre oltre la metà campo? - e ad aumentare i giri del motore con un dribbling, a creare superiorità numerica.
La partita cambia quando è costretto ad uscire Icardi, visto che Brozovic si trova a giocare con due prime punte che in realtà preferiscono giocare dietro al rapace d’area, così ha a disposizione innumerevoli spazi creati dai movimenti ad elastico di Palacio e dall’arretramento di Jovetic che ama abbassarsi a ricevere palla e poi partire in progressione o dialogare con il compagno. Chiaro esempio delle capacità d’inserimento senza palla del Settantasette è l’azione sviluppatasi al 39’ sempre del primo tempo: Kondogbia effettua un clamoroso break a centrocampo, rubando palla e smistandola d’esterno (uno dei suoi colpi preferiti) a Gnoukouri che a sua volta apre per l’accorrente Santon. Jovetic sul movimento del terzino ha portato fuori il marcatore, liberando l’area. Palacio, dal canto suo, effettua un altro taglio ad uscire, ricevendo il pallone dall’ex Newcastle e poi, a memoria, lo gira verso la porta di Sportiello, dove c’è proprio Brozovic che si è catapultato negli ultimi sedici metri, pronto a battere a rete. Solo una provvidenziale chiusura di De Roon, tignoso mediano, in spaccata ha evitato all’Inter di passare in vantaggio.
Per chiudere la casistica che vuole Marcelo Brozovic protagonista, bisogna riavvolgere il nastro dell’incontro al 25’, quando Juan Jesus parte da centrocampo per una sgaloppata centrale, con il conseguente arrembaggio della squadra del Mancio: Kondogbia e Gnoukouri si alzano sulla trequarti, Jovetic e Palacio vanno a caccia di un pertugio nella retroguardia bergamasca. E Brozo? Da trequartista si apre sulla sinistra e segue l’azione defilato, senza intasare il centro del campo. Poi la palla passa da Jesus (che poi senza sfera arriva addirittura in area di rigore a saltare) a Jovetic, il quale trova in Brozovic l’unico uomo libero, onde evitare che l’azione offensiva sfumi. Brozovic riceve la biglia, punta l’uomo, lo salta e crossa. Altro intervento della difesa a liberare e nulla di fatto. Ma l’eclettismo dell’ex Dinamo Zagabria ha permesso questa soluzione, così come a tratti nel primo tempo sembrava schierata proprio con il 4-3-3 tanto caro al Mancio, visto che Brozo era molto largo e lascia adito all’intraprendenza centrale di Kondogbia, partito in un paio di accelerazioni mozzafiato palla al piede.
Nella ripresa entra il Profeta Hernanes che - seppur con i tempi caratteristici del giocatore brasiliano - ha permesso alla squadra di far girare meglio la palla, giocando tra le linee (e costringendo Carmona all’espulsione). Brozovic è tornato al suo ruolo di mezzala, portando densità in mezzo al campo e non facendo mai soffrire la difesa, proponendosi sempre come aiuto. Stiamo parlando di un classe 1992, che deve ancora sgrezzare il proprio arsenale e migliorare in tutti i fondamentali, ma un prototipo di giocare “alla Stankovic” fa proprio al caso di Roberto Mancini che ha voluto e sempre vorrà un’Inter muscolosa e dal talento variegato. Semplicemente, l'importanza di essere - in campo - Marcelo Brozovic.
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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