Domani sera c’è Inter-Torino, ma in questo momento conta ben poco. La stretta attualità impone di soffermarci sul mercato nerazzurro, che ha ancora 6 giorni per decollare e dare una svolta alle sorti di una squadra che oggi, sensazioni alla mano, non è da terzo posto assolutamente. Il problema è sempre il solito: neanche la cessione di Sneijder, che porterà i suoi frutti nel lungo termine (oltre 12 milioni in meno per i prossimi tre bilanci), consente alla dirigenza di rinforzare a dovere la rosa e renderla più competitiva. Servono altre rinunce e, ovviamente, di offerte serie per gli ‘esuberi’ non arrivano. In compenso, qualunque calciatore a cui l’Inter è interessata viene supervalutato (Schelotto docet). Una presa per i fondelli, quasi una strategia collettiva per impedire ai nerazzurri di migliorare. Poi non sorprendiamoci se Moratti sostiene che affari in Italia non se ne possono fare: l’esterofilia nerazzurra non è solo una scelta, ma un’imposizione.
Non ci sono soldi in questo momento, anche gli ‘aggiustamenti’ sembrano degli Everest da scalare. E l’unica scelta possibile per non rimanere impassibili fino alle 19 del 31 gennaio è cedere l’unico giocatore che riceve richieste serie, non offensive come quelle arrivate per Alvarez: Coutinho. Déjà-vu: nell’estate 2011 Moratti voleva cedere Sneijder e fu costretto a rinunciare a Eto’o, per la ‘gioia’ di Gasperini. Ora, con le dovute proporzioni, si rischia la fastidiosa replica: via Pippo invece di Ricky, designato principale a fare le valigie. Anche in questo caso non è una scelta serena del club, ma una necessità imposta dal mercato. Abbiamo le mani legatissime e gli errori commessi nelle campagne acquisti precedenti si ritorcono contro. Non è un giudizio, ma una constatazione inequivocabile. Il collega Barzaghi usa il termine ‘diroccati’. Io preferisco ‘impantanati’. Come altro definire un club che non riesce a vendere i suoi pezzi pregiati al prezzo reale perché in giro sanno tutti che 'deve' cedere per finanziare il proprio mercato. Classico segreto di Pulcinella.
Paulinho, è questo il giocatore che Stramaccioni chiede per evitare al centrocampo nerazzurro altre magre figure come mercoledì sera all’Olimpico. Non è un regista, sia chiaro. Il suo arrivo cancellerebbe dalla lista della spesa questo profilo. Si punterebbe sulla corsa e la qualità di un centrocampista cresciuto a vista d’occhio negli ultimi tempi. L’estate scorsa il Corinthians chiedeva 8 milioni. Ora ne vuole 18. Tanti, forse troppi considerato il sacrificio del connazionale Coutinho, più giovane di 4 anni. Ma non dimentichiamoci che si sta discutendo di un nazionale titolare della Seleçao, fresco campione del mondo per club da protagonista. Non è la solita scommessa, in altre parole. Per un giocatore del genere all’estero vanno ben oltre i 20 milioni, sfruttando la clausola ce lo porteremmo a casa per meno. E come Guarin sarebbe un investimento a lungo termine, partendo dal presente. Un presente che, purtroppo, ancora non appartiene a Cou.
La domanda è lecita: quanto bisogna aspettare un ragazzo prima che eventualmente esploda? Risposta impervia da dare. Coutinho è all’Inter dal 2010, lo scorso gennaio si è trasferito 6 mesi all’Espanyol per maturare. Doveva essere questa la sua stagione, ma per il momento il bilancio è negativo. Colpa anche di un fisico deboluccio che lo spedisce in infermeria troppo spesso. Oggi il sacrificio dell’ex Vasco può garantire all’Inter non solo l’arrivo di Paulinho (e Strama acconsentirebbe), ma anche una plusvalenza di circa 8 milioni di euro. Però può un ragazzo classe ’92 che in tanti avvicinano, per talento, a Neymar, essere sacrificato sull’altare del bilancio? Il famoso progetto giovani conta meno dei freddi numeri? Spiace ammetterlo, ma questa vicenda è emblematica di una fase storica che la società FC Internazionale deve suo malgrado affrontare. E viene in mente il tremendo pensiero che i giovani siano solo carne da macello per assicurarsi plusvalenze e rimediare al profondo rosso nel bilancio del club. Alla faccia dello sbandierato progetto di rinnovamento, che poneva Coutinho al centro. Ennesima contraddizione delle strategie societarie, figlia del bisogno di denaro. Capisco, ma non gradisco.
Restando in tema di dirigenza, tra le tante mail che ci arrivano ci sono molti attacchi e offese al direttore dell’area tecnica Marco Branca. Chiunque svolge un lavoro del genere è soggetto a errori, più o meno gravi (ah, quell'uscita su Sneijder...). Al contempo, deve accettare le critiche, come tutti i professionisti a certi livelli. Quello che non mi va giù è la richiesta di tanti tifosi di dargli un calcio nel sedere rimediando alle sue malefatte con il ritorno del ‘grande Oriali’. Massima stima per il Piper, un monumento nerazzurro da esportare in giro per il mondo, simbolo di fedeltà e correttezza. Ma il fatto di aver trascorso la stagione del Triplete seduto accanto a Mourinho non lo rende un uomo mercato più affidabile di Branca e Ausilio. Chi la pensa così ha la memoria corta. Oriali ha azzeccato diverse operazioni (Maicon su tutte), ma porta la sua firma lo scambio Seedorf-Coco per cui ancora ci prendono per il c… Durante la sua gestione è inoltre arrivata gente come Macellari, Cirillo, Brocchi, Vampeta, Domoraud, Gresko, Padalino, Sorondo, Hakan Sukur e tutti gli ex juventini pretesi da Lippi e pagati a peso d’oro. Già, perché rispetto al Branca di oggi, il Piper aveva grossi budget da investire. Chi reclama il ritorno di Oriali, adesso, ha qualche informazione in più per cambiare idea. In alternativa, libero di mantenerla.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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