Solito ottimismo ingiustificato prima di una trasferta allo Juventus Stadium. Solita sconfitta decisa da episodi che l'Inter decide noiosamente di indirizzare a suo danno. In Coppa Italia Felipe Melo dona la palla gol a Morata, domenica scorsa D'Ambrosio omaggia Bonucci che non vedeva l'ora di affossarci: detto e fatto. Il tutto condito dal solito sterile possesso palla che partorisce il primo tiro in porta al novantesimo, ma Eder da quando veste il nerazzurro ha dimenticato il suo mestiere e invece di buttarla dentro, permette a Buffon di guadagnarsi il voto in pagella.

In quel momento il quarto uomo indicava sei minuti di recupero, tutto era quindi ancora possibile in caso di rete, ma quest'Inter non sa cosa sia la mentalità vincente. Sembra averla smarrita anche l'uomo chiamato per riportare coraggio, vittorie ed entusiasmo alla Pinetina dopo la parentesi mazzarriana che aveva svuotato il Meazza. E invece anche Roberto Mancini violenta il suo credo e la sua storia di allenatore amante del gioco propositivo e aggressivo, presentandosi allo Stadium con una squadra infarcita di difensori e mediani di rottura, tentando di mettersi a specchio con l'avversario. Tutti in panchina i cosiddetti piedi buoni insieme al signor Eder, quello che doveva rappresentare il colpo del mercato di gennaio.

L'undici di domenica sera? “Un mappazzone” direbbe l'interista Bruno Barbieri, brillante giudice di MasterChef. Anche la Juve schiacciasassi è scesa in campo con il 3-5-2, ma i due esterni Lichtsteiner e Alex Sandro, pur non facendo nulla di trascendentale, guardavano avanti, pensavano a offendere, volevano vincere perché a loro insegnano così. I nostri, invece, dopo un illusorio pressing iniziale sui portatori di palla bianconeri, al primo spavento si sono subito ritirati nella loro tana con l'unico intento di salvare la pelle. Non l'hanno salvata, il colpo è arrivato per un errore figlio della paura a cui è seguito quello dell'esecuzione definitiva. Mancini, senza voce e senza nemmeno voglia di averla, diserta taccuini e microfoni.

A fine gara le bordate le lanciano il vice presidente Javier Zanetti e il direttore sportivo Piero Ausilio e personalmente mi ha fatto effetto sentire due figure così equilibrate e miti, dire: “Ora siamo stufi, questi signori si prendano le loro responsabilità perchè devono capire cosa significhi indossare la maglia dell'Inter”. Questo in sintesi il concetto espresso dai due dirigenti nerazzurri nel ventre dello Juventus Stadium. Ecco il punto. Questa Inter ha vinto molte partite, sino alla Befana era addirittura prima in classifica, poi ne ha pareggiate e perse altrettante, precipitando al quinto posto. Avete notato atteggiamenti di rivolta? Avete sentito dai giocatori più rappresentativi richiami all'ordine come invece abbiamo sentito da Buffon e compagnia quando la Juventus perdeva con il Sassuolo e sembrava definitivamente fuori dai giochi? No, non abbiamo sentito nulla che scaldasse il cuore aprendo strada alla riscossa con la gloriosa bandiera nerazzurra in mano. Alla Pinetina la solita calma piatta e i soliti ritornelli: “pensiamo a lavorare” e: “guardiamo alla prossima partita”.

No cari ragazzi. E' il caso di guardare alla partita appena persa, è il caso di capire cosa non vada, fuggire dall'errore porta ad altri errori. Anche se evitabili. Ma interessa veramente capire? Probabilmente in quest'Inter militano troppi giocatori che si sentono di passaggio a causa della necessità da parte della società di fare mercato attraverso la politica dei prestiti. E allora, magari inconsciamente, un terzo posto non è che scaldi più di tanto chi sa che nella prossima stagione forse andrà a giocare la Champions League da un'altra parte. I selfie e le foto che facevano gruppo si scattavano dopo le vittorie che facevano presagire la possibilità di lottare per lo scudetto, traguardo che piace a tutti, anche a chi sa che l'anno dopo indosserà altri colori.

Ma quando c'è da lottare solo per il mantenimento della dignità che impone la maglia che indossi, ecco che impietosamente la foto di gruppo sparisce. Ognuno pensa per se e in campo si vede. L'allenatore è sotto accusa. Da chi non lo sopporta solo perchè si chiama Roberto Mancini, da chi, pur stimandolo, non ne sta più capendo le strategie e da chi prova un piacere quasi fisico a chiedere la testa dell'allenatore dell'Inter, chiunque esso sia e qualunque cosa faccia. Mi risulta che Mancini voglia rimanere a Milano anche nella prossima stagione, pur con tutte le difficoltà del caso che aumenterebbero in caso di mancato accesso alla Champions. Ma se così fosse, il Mancio farebbe bene a ribadire con forza la sua posizione, la sua voglia di continuare a portare avanti un progetto difficile, ma corretto come quello che ha iniziato Erick Thohir.

E poi si inizi a capire chi avrà veramente il desiderio di rimanere, perché l'Inter deve tornare ad essere un punto di arrivo e non un centro ricreativo. Detto questo, mancano ancora undici partite di camponato. Ci sarebbe ancora tempo e spazio per sorridere. Ma intanto, siccome piove sempre sul bagnato, questa sera ci ritroviamo di fronte in Coppa Italia al Meazza la Juventus e sappiamo che i bianconeri non si faranno mai rimontare tre gol. Allegri chiede ai suoi di passare il turno senza perdere. Si pongono sempre un obiettivo. Ma ora basta parlare di loro. Vorrei tornare a celebrare l'Inter.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 02 marzo 2016 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
vedi letture
Print