"La Champions è la competizione dei dettagli". Il copyright della dichiarazione che condensa in una sola parola il fascino del torneo per club più prestigioso di tutti è, neanche a dirlo, di José Mourinho, uno che sulle imprese contro ogni pronostico ci ha costruito una carriera e arricchito un curriculum. La lezione dello Special One è tanto elementare nella sua conclusione quanto difficile da imparare in tutti i suoi passaggi, tanto è vero che anche il maestro dei particolari ultimamente è inciampato su quegli episodi che lo hanno costretto ad osservare inerme a un altro epilogo rispetto a quello studiato nel laboratorio della sua mente da perfezionista. Per sua fortuna, il vate di Setubal è in buona compagnia: tra i delusi eccellenti che hanno assistito al capovolgimento dei pronostici dalla carta al campo c'è anche Lionel Messi, Dio del calcio, che in una recente intervista rilasciata a Catalunya Radio ha spiegato di aver perso l'impugnatura della Coppa dalle grandi orecchie contro Inter e Chelsea per dettagli, appunto.

Per citare un caso specifico che unisce le storie del manager portoghese e del fuoriclasse argentino basti ricordare il vulcano Eyjafjöll, quello che obbligò il Barcellona a viaggiare in pullman verso Milano, in tempo per capitolare 3-1 sotto i colpi di una delle più belle Inter dell'era moderna. L'atto I di una sfida che nella sua seconda recita avrebbe proposto una remuntada mai compiuta da Guardiola. L'arcirivale di Mou, a proposito di sliding doors, ha centrato il Triplete al primo colpo da allenatore grazie alla madre di tutte le sfumature, l'Iniestazo a Stamford Bridge, in semifinale contro il Chelsea, arrivato in pieno extra time (una grossa mano a Pep la diede anche l'arbitro Ovrebo, a dirla tutta).

Uno sciame di situazioni che si ripropongono di stagione in stagione, mietendo vittime ed eleggendo vincitori senza alcun tipo di scrupolo: chiedere a Diego Simeone come si possono perdere due derby europei in finale contro il Real prendendo gol da Ramos al 93' e perdendo ai rigori. Cholo moderno Cuper, definito perdente di lusso per aver avuto il demerito di perdere due volte nel momento decisivo dopo aver portato una squadra inferiore come il Valencia ad accarezzare il sogno contro i potenti del calcio continentale. Gli esempi sono infiniti, inutile proseguire, se non prima di aver parlato del 'sortilegio Juve': sette finali perse, di cui due delle ultime quattro con Allegri in panchina, che hanno costretto Agnelli a far all-in su Cristiano Ronaldo, mister Champions League che viene vissuto dall'ambiente bianconero come un'assicurazione sulla vittoria finale. Una mossa che va certamente contro la natura stessa di un torneo che nel corso della sua storia ha dimostrato che non esistono favorite a priori, neanche quando quelle stesse annoverano il miglior giocatore del mondo e lo innestano in un gruppo che nel passato recente è già arrivato due volte in fondo.

Chi non ha le credenziali per spingersi fino a Madrid 2019, a oggi, è sicuramente l'Inter di Luciano Spalletti, già sfavorita da un sorteggio che – collocandola in quarta fascia – l'ha abbinata a Barcellona, Tottenham e Psv. 'Il girone della morte', così ribattezzato dai media catalani, si annuncia molto incerto, anche per un particolare che non va trascurato: la terza forza del raggruppamento (a livello teorico), per sottostare alle regole del Fair Play Finanziario Uefa, ha 'tagliato' coercitivamente dalla lista dei convocati il nome di Roberto Gagliardini, potenziale titolare ed elemento sicuramente indispensabile per le rotazioni a centrocampo. Un dazio carissimo per l'economia del gioco nerazzurro che il club ha dovuto pagare per tornare a riveder le stelle senza controindicazioni dopo sei anni di buio. Un dettaglio che magari non somiglierà neanche lontanamente ai macrocasi elencati sopra, ma che certamente – essendo un'imposizione dipendente da fattori esterni che nulla hanno a che vedere con l'aspetto tecnico-tattico – è ancor più difficile da digerire nella misura in cui la Beneamata parte come underdog di lusso dietro a blaugrana e Spurs. "Roberto è un grande giocatore. Un discorso realista non passa solo dall’aspetto tecnico, perché sappiamo tutti in cosa consiste il Fair Play Finanziario. Una squadra come l’Inter deve giocare su tre fronti, per cui anche Roberto avrà la possibilità di dare il suo contributo", ha commentato impotente Javier Zanetti martedì a chi gli chiedeva i motivi dell'esclusione del centrocampista bergamasco.

Insomma, pronti-via e Lucio deve rinunciare senza volerlo al suo 'tir che si mette di traverso' nelle partite in cui servirà anche giocare in trincea, magari per difendere un gol di vantaggio costruito in casa o semplicemente per spezzare i lunghi periodi di possesso palla avversari in trasferta. Senza contare che questa rinuncia obbligherà il tecnico di Certaldo a fare delle scelte forzate per equilibrare la rosa sui due fronti. Una penalizzazione legittima se si consulta il regolamento, ma oltremodo penalizzante guardando ai riflessi che avrà sul rettangolo verde. Due anni fa, in Europa League, la Uefa bocciò il mercato dell'Inter imponendo a De Boer di 'sacrificare' Joao Mario, Gabigol, Kondogbia e Jovetic, incasinando i piani dell'olandese che già di loro non avevano una gran logica. Andò male, malissimo, a tal punto da far pensare che l'eliminazione sciagurata da un gruppo ampiamente alla portata fosse un atto di rivolta.

Ecco, ora Icardi e compagni devono ribellarsi in un altro modo, reagendo al 'torto' subito con un percorso degno della storia del club. Perché la Champions non è più solo la competizione dei dettagli, ma anche del Fair Play Finanziario. Dove anche se partecipare (dal punto di vista economico) è diventato importante quasi come vincere, il destino dell'Inter è rimasto intatto: servirà dimostrarsi all'altezza delle altre, curando quei dettagli che fanno la differenza tra una squadra che va in campo per giocare sei partite e un'altra che ha in testa di passare il turno.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 06 settembre 2018 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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