La Champions League sta facendo bene all'Inter. Anche in funzione campionato. La scorsa stagione era facile nascondersi dietro l'assunto che, senza coppe, sarebbe stato più agevole 
giocare solo entro i confini nazionali perché la squadra avrebbe avuto tutto la settimana per allenarsi alla Pinetina, mentre gli altri, impegnati il martedì,  il mercoledì o, peggio ancora il giovedì, avrebbero speso energie con il rischio infortunio dietro l'angolo. Teoria solo in parte condivisibile, perché i dati oggettivi, in gran parte la smentiscono.

La Juventus, vincitrice degli ultimi sette scudetti, è andata per due volte in finale di Champions. E come non dimenticare la splendida cavalcata della Roma sino alla semifinale nella scorsa stagione, pur arrivando terza in campionato. L'Europa, ma soprattutto la Champions, vale più di tutti gli allenamenti del mondo. Permette di misurarti contro grandi club, in grandi stadi, con atmosfere irrepetibili. Basti vedere lo sguardo dei giocatori quando parte quella magica musichetta che ti dice: "Sei qui, dimostra quello che sai fare". Naturalmente serve una rosa ampia e competitiva per affrontare il doppio impegno con maggiori possibilità di non 
sfigurare e per quanto riguarda l'Inter, bisogna solo applaudire quanto abbiano saputo fare la scorsa estate gli uomini di mercato nerazzurri supportati dalla proprietà, nonostante i fastidiosi paletti imposti del Financial Fair Play. 

Dopo tante critiche, anche giustificate per gli errori del passato, Piero Ausilio e compagnia questa volta meritano il bel voto. L'Inter ha ottenuto un prezioso pareggio con il grande Barcellona dopo aver vinto il derby, dopo aver schiantato a domicilio la Lazio, dopo aver mostrato la manita al Genoa. In mezzo la sconfitta del Camp Nou al termine di una gara senza senso nel primo tempo, ma con un suo perché per una ventina di minuti nella ripresa. In 
campionato la Beneamata è seconda insieme al Napoli a sei punti dalla vetta, nel girone di Champions è seconda con sette punti in quattro gare e se dovesse conquistarne almeno uno il prossimo 28 novembre a Wembley con il Tottenham, festeggerebbe la promozione agli ottavi di finale con una giornata di anticipo. 
Uno scenario che in pochi avrebbero immaginato il giorno del sorteggio di Montecarlo e che invece rappresenta una piacevole realtà. Si può disquisire all’infinito su come l’Inter abbia tenuto il campo nelle due gare disputate nel giro di dieci giorni contro i profeti del possesso palla. Il Barcellona, pur privo di un certo Leo Messi, possiede un impianto di gioco figlio di una cultura calcistica maturata nel tempo.

L’Inter di Luciano Spalletti, la squadra che è tornata a riaffacciarsi nel grande palcoscenico europeo dopo troppi anni di assenza seguiti al meraviglioso Triplete del 2010, ha un doppio e quindi 
ancora più difficile compito: apprendere e vincere. “Domani capiremo se possiamo affrontare tutti”, aveva detto Spalletti lunedì scorso alla vigilia del grande appuntamento del Meazza. La squadra, ancora più che al Camp Nou, ha capito subito cosa si trovasse di fronte, la palla ce l’avevano sempre loro, nonostante uno stadio in amore interamente colorato di nerazzurro. L’alunno, 
sempre attento alla lezione, ha avuto il grosso merito di meritarsi un po’ di fortuna nel primo tempo, quando il Barca decideva che era meglio tirare fuori o farsi parare i tiri da Handanovic piuttosto che segnare.

Nella ripresa la musica non cambiava di molto, ma l’Inter aveva capito che in altro modo, con le sue caratteristiche, in quel contesto ci poteva benissimo stare. Ecco perché, dopo il gol ammazza gambe a sette minuti dal termine di Malcolm, è arrivato subito il pareggio con la prodezza di Maurito Icardi. Perché la squadra, 
giocando e ammirando l’avversario, ha acquisito la mentalità che serve in simili frangenti, il coraggio che non deve mai mancare. Lo voleva lo stadio, strapieno e rumorosissimo dall’inizio alla fine. L’ Inter ha recepito e non ha perso la partita, ottenendo un pari che equivale ad una vittoria.

La squadra è tosta, vogliosa, concentrata. Non tutti sono al meglio, vedi Nainggolan, ma nessuno si sente riserva. Chi entra cerca di dare il massimo, magari incazzato per aver iniziato in panchina, ma senza rancori. Pensiamo a Roberto Gagliardini. Fuori a sorpresa contro la Lazio per far posto a Joao Mario. Contro il Genoa i due sono stati i migliori in campo contribuendo in maniera determinante al netto successo dell’Inter. Bravo Spalletti, peccato non averli, 
a questi livelli, nella lista Champions. Sarebbero serviti, eccome. L’Inter non vincerà tutte le partite sino alla fine della stagione, questo è chiaro. Ma il periodo storto lo ha già passato, all’inizio della stagione quando è riuscita a perdere con Sassuolo e Parma e si fatta rimontare due gol dal Torino a San Siro. Ma ora serve dimostrare che i harakiri del passato non hanno più diritto 
di cittadinanza alla Pinetina. L’Inter ora deve dimostrare di avere continuità. 

Domani, all’ora di pranzo, si recita su uno dei campi più indigesti per la Beneamata. Allo Stadio Azzurri d’Italia si affronta l’Atalanta del “nemico” Gasperini che dopo la sua “sfortunata” esperienza all’Inter sogna ogni volta la vendetta sportiva. Vincere a Bergamo, cosa che le statistiche non ritengono cosa facile, vorrebbe dire che l’Inter avrebbe veramente voltato pagina e che il cammino in campionato potrebbe veramente regalare emozioni che il meraviglioso pubblico nerazzurro (in questo caso il nerazzurro di Milano) meriterebbe. L’Inter ha tutto per non inciampare sul più bello. Una squadra 
competitiva, una società forte e strutturata che ha incoronato di recente il giovane Steven Zhang alla presidenza. Poi ci sarà la sosta, utile per ricaricare le pile in vista della sfida del 28 novembre a Wembley contro il Tottenham. A mio avviso, sarà quella la sfida chiave della stagione.

Molto più difficile del doppio confronto con il Barcellona. A Wembley non ci si confronterà con una squadra oggettivamente superiore come il Barca. A Londra si dovrà battagliare con una pari grado che avrà solo un risultato a disposizione e che assalterà il fortino nerazzurro dal primo all’ultimo minuto. La classica 

partita di Coppa che può regalarti l’impresa da raccontare ai nipotini o farti cadere nella depressione calcistica in caso di rovinosa caduta. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare, diceva qualcuno e allora questa Inter dovrà confermare che l’ostacolo non fa più paura, ma rappresenta lo stimolo per 
superarlo.

Chiusura dedicata a quanto successo mercoledì scorso all’Allianz 
Stadium. Protagonista il signor José Mourinho da Setubal che ha scritto tra le pagine più belle della storia interista. E per questo merita la nostra attenzione per ogni sua vicissitudine. Mi stacco dal coro di moralisti e benpensanti e, pur pensando in modo netto che chi commetta qualsiasi atto violento in uno stadio, debba finire dritto in galera, ritengo legittimi cori e insulti da parte della curva juventina. Ci sta, nel 2010 li ha fatti impazzire. La mano all’orecchio, dopo aver vinto una partita in rimonta, è stata il guizzo dello Special One, che altrimenti, non sarebbe tale. Gli interisti hanno goduto. Gli ipocriti hanno sentenziato. 

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Sezione: Editoriale / Data: Sab 10 novembre 2018 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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