In una lunga intervista a InterTv, Walter Zenga ha ripercorso la sua carriera nerazzurra, tenendo aperta una porta - che rappresenterebbe un sogno - di poter allenare la sua squadra del cuore. "Avevo 10/11 anni e giocavo nella Macallesi. Mi ricordo ancora quando mio papà venne da me e mi disse: ‘Guarda che ti ha comprato l’Inter’. Feci come dei salti di gioia, eravamo in tre giocatori (io, Ambu e Fumagalli) l’Inter pagò per tutti e tre un milione in materiale, palloni e tutto quanto e da lì cominciò la mia avventura". Dal sogno di indossare i colori nerazzurri alla responsabilità di diventarne un punto fermo della Prima Squadra: "Quando diventi titolare di una squadra come l’Inter, importante nel mondo, cominci a giocare le competizioni europee, cominci anche a pagare il prezzo degli errori. Un conto è sbagliare da ragazzino, che ti dicono che può succedere. Quando cominci a diventare adulto e ti assumi le responsabilità e cominci ad essere titolare, paghi anche quel prezzo lì. Anche perchè giocando in squadre di seconda fascia, il tuo modo di essere giudicato è ristretto ad una piccola cerchia, sbagli all’Inter sei in prima pagina. Fai bene sei in prima pagina. E’ diverso, sono due gestioni delle emozioni e della vita completamente differenti"
I ricordi di Zenga vanno poi alla conquista dello scudetto, dopo il 2-1 contro il Napoli: "Ogni volta che rivedo le immagini mi viene la pelle d’oca. Io San Siro così pieno non l’ho mai visto, se non per la finale di Coppa Uefa contro il Salisburgo. Ma vincere un campionato a 4 partite dalla fine così, in quel modo. Di là c’erano Maradona, Careca e compagnia, dall’altra parte c'erano Gullit e Van Basten, la Samp aveva Vialli e Mancini. Vincerla a 4 dalla fine è devastante e quando Lothar fa gol diventa un’emozione unica. Ma la cosa bella erano gli ultimi tre minuti, che penso siano durati 90 perché non finivano più, eravamo campioni, con quattro giornate di anticipo, qualcosa di unico". L'ex portiere nerazzurro ha proseguito raccontando la sua storia d'amore infinita con questi colori: "E’ una vita parallela, l’Inter ha 110 anni, io ne ho quasi 58, il numero dei punti dello scudetto dei record, un bel numero. Tolti i primi 3,4,5 anni della mia vita, gli altri 50 anni li ho vissuti di fianco a lei. Si cambiano tante cose nella vita, ma la fede per una squadra mai. E ti posso garantire che quando vado in giro e mi insultano, mi dicono qualcosa per il mio senso di appartenenza, mi danno ancor più forza, più consapevolezza che ho fatto la scelta giusta. Sono felice di essere un tifoso dell'Inter, orgoglioso di esserlo per tutto il resto della mia vita".
Per finire, l'attuale allenatore del Crotone ha espresso tutta la propria felicità e il proprio orgoglio per il premio Hall of Fame: Penso che sia il riconoscimento più ambito e più bello della mia carriera. Mi manca solo un tassello, quello di poter essere l’allenatore della squadra che amo e che adoro. Non so se accadrà, io lavoro per farlo, forse ce la faremo, forse non ce la faremo. Il problema fondamentale è che quello che resta dentro, pur avendo smesso di vestire la maglia dell’Inter 20 anni fa (anche di più), è quello di arrivare a San Siro e di sentirmi come se avessi smesso un mese fa. E l’accoglienza che ho ricevuto per Inter-Crotone o per tutte le volte che vado a San Siro e mi inquadrano nel tabellone, ti fa venire le lacrime agli occhi. Non c’è vergogna a dire che una persona può piangere dalla felicità. E quindi questo è il riconoscimento più grande che potessi avere, l’ho messo a casa mia. E’ là, guai a chi me lo tocca. In genere, non conservo i miei trofei, non amo vedere ciò che ho conquistato perché fanno parte del passato. Tengo delle cose perché i miei figli un giorno potranno capire e vedere ma questo premio è lì, in bella evidenza. E lo devono guardare tutti quando entrano a casa mia".
VIDEO - ACCADDE OGGI (1992): KLINSMANN L'ACROBATA, DOPPIETTA AD ASCOLI E MIRACOLI DI ZENGA
Autore: Christopher Nasso / Twitter: @ChrisNasso91
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