Bella e lunga intervista di Andrea Stramaccioni al Corriere della Sera. Il tecnico nerazzurro ha affrontato tantissimi temi, di cui la maggior parte in chiave nerazzurra. Dal mercato al sogno di essere sulla panchina dell'Inter: Strama si conferma un allenatore, e un uomo, di grande spessore. Ecco il botta e risposta con i colleghi Alessandro Bocci e Fabio Monti.
Stramaccioni, a che punto è la costruzione della nuova Inter?
«Abbiamo posto buone basi, puntando soprattutto sulla metodologia del lavoro e sulla qualità dei rapporti. In questa fase di lavoro conta più eliminare un difetto che prendere un punto. E non lo dico per fare il gradasso: ne ero convinto anche nel settore giovanile. Qui, però, la crescita senza risultati non è concepibile».
Che differenza c’è fra allenare i ragazzi e la prima squadra?
«È un lavoro totalmente diverso. Nella Primavera alleni una generazione e quindi da un punto di vista comunicativo hai dei vantaggi. Adesso ho a che fare con calciatori che sono arrivati all’Inter come i migliori, vengono da ogni parte del mondo e hanno estrazioni sociali diverse. E poi sei dentro la centrifuga mediatica del calcio italiano».
Perché all’estero riescono a lanciare i giovani e in Italia è difficile?
«Perché la differenza tra il campionato Primavera e la serie A è enorme. Manca la seconda squadra che sarebbe una specie di trait d’union con la prima. A Roma mi rendevo conto di quanto fosse difficile per un ragazzo andare ad allenarsi con i grandi. Il campione, come Balotelli o Santon, tanto per restare all’Inter, emerge sempre. Quello che invece ha ‘‘solo’’ buone qualità deve fare un percorso diverso: andare in B e poi, magari, tornare alla base. Il problema è la continuità. Livaja, per esempio, ha dimostrato che con noi può starci. Ma deve ripetersi nel lungo periodo».
Sia sincero: Cassano l’ha scelto lei?
«All’inizio non era un nostro obiettivo. Quando non siamo riusciti a prendere un esterno offensivo come Lavezzi o Lucas abbiamo cambiato idea tattica e deciso di puntare su una seconda punta. In quel momento Antonio è diventato una prima scelta. Una scelta condivisa con il presidente Moratti. Il fatto che il Milan volesse Pazzini ha accelerato la trattativa e consentito all’Inter anche di fare una buona operazione dal punto di vista economico».
Gestire Cassano però non è facile.
«Ho sempre parlato tanto con lui; tra il momento della firma e quello delle visite mediche abbiamo fatto una lunghissima chiacchierata, da uomo a uomo, alla mia maniera, ma anche alla sua. Gli ho detto cose belle e qualcuna brutta. Con la stessa sincerità mi ha detto che cosa pensava e in quel momento è nato questo rapporto. Tra allenatore e giocatore, ma anche tra Andrea e Antonio. Finora il suo rendimento è stato eccezionale e spero continui così. Merito anche dell’ambiente che l’ha accolto nel migliore dei modi. Sembra sia all’Inter da sempre».
Quanto durerà l’idillio?
«Non mi pongo il problema. Finora è andato tutto bene e non credo di aver preso sempre decisioni che ha condiviso, però tutte decisioni che lui ha rispettato».
Da un campione all’altro, da Cassano a Sneijder. L’olandese può essere un problema?
«Solo se non hai le idee chiare e non lo conosci. Il problema può essere in relazione agli altri nove, ma vale per Wesley come per tutti gli altri, soprattutto per i giocatori con caratteristiche particolari. Io lo aspetto anche perché sino qui è sempre stato molto motivato».
Ma con Sneijder e Palacio anche l’Inter può lottare per lo scudetto?
«Il problema, sinora, non è mai stato l’assenza dei giocatori di qualità. Avevo la sensazione che venisse meno il concetto di squadra. Per gli avversari era troppo facile farci male. Siamo ancora un cantiere, ma è già un’altra Inter. Quanto ai nostri obiettivi credo che saranno più chiari alla fine del girone di andata».
È lontano il rientro di Stankovic?
«Quando ho fatto il colloquio con Moratti per diventare allenatore dell’Inter ho detto al presidente che il mio centrocampo sarebbe stato fondato su Dejan. E non ho cambiato idea. Però deve guarire bene e non affrettare il rientro».
Si dice che l’Inter sia una squadra giovane, in realtà non lo è mica tanto...
«Siamo un mix tra giocatori con un grande passato; giocatori di una fascia intermedia come Guarin, Pereira e Nagatomo che sono in una fase di maturazione e giovani di primo livello, come Juan Jesus, Coutinho, Livaja e aggiungerei anche Alvarez».
Ma qual è quello che più l’ha sorpresa sino a questo momento?
«Juan Jesus. Poteva sembrare un azzardo, invece sta dimostrando tutto il suo valore. Con Ranocchia e il brasiliano l’Inter ha un prospetto di difensori centrali di sicuro rendimento».
La sua vita è cambiata dopo aver vinto il derby?
«Io sono me stesso. Magari ti chiedono di fare una foto in più o di firmare un autografo. Io sono gentile con tutti perché penso che, sino a poco tempo fa, ero io a chiedere l’autografo...».
Che cosa non le piace del suo mestiere?
«Quando l’Inter mi ha scelto ho sentito dentro di me una grande responsabilità. L’allenatore sarebbe stato il mio lavoro e mi chiedevo se ne sarei stato all’altezza. Non proprio paura, ma la responsabilità nel dimostrare di poter vivere di calcio. Quando l’Inter mi ha rinnovato il contratto, tutto è passato. Io avrei firmato pure per una settimana e invece ho scoperto che il contratto sarebbe stato triennale. A momenti cado dalla sedia. Con quella mossa il presidente mi ha trasmesso una forza incredibile. La prima squadra dell’Inter non me la sarei data neppure io... Ma sentivo una forza incredibile: perché non lo volevo e non lo voglio deludere».
Ma anche prima che lo portasse in prima squadra, lei aveva capito che Moratti aveva una simpatia per lei.
«Me ne sono accorto quando ha cominciato a seguire in maniera quasi innaturale la Primavera, ogni volta sempre più vicino alla mia panchina, per ascoltare ciò che dicevo. E pensare che non era cominciata bene. Dopo due gare avevo preso 18 gol e Moratti aveva domandato: ma siete sicuri che è bravo questo qua?».
Lei è il capostipite dei giovani allenatori.
«Io credo di essere diverso dagli altri. Perché rispetto al mio amico Montella e a Conte avevo esperienza zero. Mi è mancata l’esperienza da calciatore o quella da assistente. Loro già sapevano, per esempio, come si gestisce un pre partita o come si affrontano le pressioni. Un vantaggio impressionante».
In che cosa deve migliorare Stramaccioni?
«Nella reazione sui fatti collaterali. Per esempio le critiche strumentali. Per esempio quando, dopo la vittoria di Torino, si voleva dare all’Inter il taglio da provinciale. Hanno parlato di Interella e non mi sta bene. Per il resto scuse a tutti per certe reazioni».
È sorpreso dalla crisi del Milan?
«Si, ma sono certo che la classifica dei rossoneri sia momentanea».
Ci racconti l’Inter più bella, più brutta e la più fortunata.
«La più bella nel derby del 6 maggio, quella del 4-2, anche per spettacolarità e imprevedibilità. La più brutta, sempre a maggio, quattro giorni prima, a Parma: una partita strana che ci è costata la Champions League. Per quella fortunata sentiamoci più avanti».
La sconfitta in casa con il Siena è stata il punto più basso?
«Una grande squadra quel giorno fa 0-0. Ma se non avessimo toccato il fondo, forse non sarebbe scoccata la scintilla. Quella sconfitta è stata dolorosa, ma utile».
Che notte quella del 26 marzo, quando è stato promosso in prima squadra...
«Mamma mia, che notte. Giornata particolare, con la decisione finale del presidente. Ma la storia con l’Inter va avanti da anni. Mi hanno corteggiato per un sacco di tempo. Lo sapevate, per esempio, che quando la Roma voleva Burdisso, io potevo finire dentro quell’operazione?».
Domani torna a Bologna dove è finita la sua carriera di giocatore
«Oggi ci vado felice. Ma è stata dura perché sono stato molto male. Sono andato via di casa a 14 anni e a 18, dopo l’infortunio, mi hanno detto che non avrei più potuto giocare a calcio. Ho vissuto una crisi di rigetto. Mia madre ha telefonato al mio procuratore, Dario Canovi: mio figlio non vuole più saperne del calcio, non guarda più nemmeno le partite in tv, si è persino messo a studiare... Era preoccupata. E Canovi, forse anche per togliersela dalle scatole, le ha dato il consiglio giusto: gli dica di provare a fare l’allenatore. È cominciata così su un campetto al nuovo Salario».
E ora l’Inter. Cosa vuol dire?
«Vuol dire che i sogni esistono e si possono concretizzare. Vale per tutti quelli che, come me, sono partiti da zero. Anche un allenatore degli Esordienti può dire: Stramaccioni ce l’ha fatta, posso riuscirci anch’io. Io sono l’esempio che ce la possono fare».
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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