Non solo tanti elogi per l'Inter che mercoledì sera ha compiuto una grande rimonta a Kiev, ma c'è stato anche chi, come il difensore della Juventus Chiellini, ha sottolineato che i nerazzuri in Ucraina sono stati fortunati. Siamo proprio sicuri? A rispondergli ci ha pensato Diego Alberto Milito, uno degli eroi della notte europea che intervistato da La Stampa ha rilasciato un'interessantissima intervista che vi proponiamo in forma integrale.

A trent’anni ha segnato il primo gol in Champions League: quella rete ha cambiato di più la storia dell’Inter o la sua?
«Ha aggiunto alla mia qualcosa che mancava e ha dato all’Inter del morale. Io sono arrivato in Champions con un bel po’ di calcio addosso e giocare una competizione così con la maturità che ho ora non è poi tanto male. Significa che non ti lasci travolgere».

Cioè lei è l’unico giocatore dell’Inter che non ha l’ossessione della Champions?
«Io non so se qui c’è un’ossessione, so che non ho mai vissuto il calcio con ansia e porto con me questa visione. L’esperienza regala tranquillità».

Racing Avellaneda, Real Saragozza, Genoa, persino in B, in quest’infinita scalata verso una grande squadra non ha mai avuto paura di perdere tempo?
«Mai. E’ il destino che ha deciso così e non credo esistesse un modo per saltare delle tappe. Mi sono goduto tutto quello che è passato. L’attesa è un valore, ti porta ad apprezzare ogni sfumatura, pesi ogni singolo successo».

Insomma non le sono mai girate le scatole? Non c’è nessuno che ha la sua media gol in Italia.
«Sono calmo per carattere».

Appunto, dicono di lei che è timido, tranquillo, taciturno. Ma questo bravo ragazzo tutto calcio e famiglia, è davvero lei?
«Temo di sì, il calcio è il mio lavoro e la mia passione e sopra il pallone ci sono gli affetti. Non resta spazio per altro. Ho una vita semplice, tutto qui».

L’ultima volta che è andato in discoteca?
«Non me lo ricordo».

L’ultima volta che è arrivato tardi a un allenamento?
«Non mi pare sia successo mai».

L’ultima volta che ha litigato con qualcuno?
«Detesto i conflitti».

E lo ha detto a Mourinho?
«Se lo immaginava, ma lui è bravo a crearli per attirare l’attenzione su di sé e farci da scudo. Cosa che apprezzo».

Quest’estate, ancora indeciso sulla punta da comprare, Mourinho ha detto: «Non conosco Milito e sono amico di Drogba». Ora siete amici anche voi?

«Amico è una parola impegnativa. I miei amici sono in Argentina. Io e il mister abbiamo un buon rapporto. Lui ci sa fare con i calciatori».

L’attaccante più placido che esista che cosa ha da dire a Balotelli, il più agitato che ci sia?
«Mario non ha niente di cui deve preoccuparsi, ha un talento assoluto e crescerà con lui. Gli serve qualche anno. Deve solo imparare ad ascoltare».

Molti dicono che Kiev per l’Inter è stata la svolta. Che squadra si presenta davanti alla Roma?
«Un gruppo più consapevole però non sono d’accordo con la definizione svolta. Questa squadra ha bisogno di tempo per progredire. A me sembra che si stia andando sempre nella stessa direzione ed è quella giusta».

Alla Juve dicono: Inter brava, ma tanto fortunata.
«Io lavoro molte ore al giorno per essere fortunato. Avete presente De Vincenzo, il golfista argentino? Ogni volta che qualcuno tirava in ballo la buona sorte lui rispondeva: "ho passato sei ore a provare quel colpo di fortuna". Ecco, io la mia fortuna la alleno».

A proposito di argentini, Maradona è l’uomo giusto per guidare la sua nazionale?
«Di più: è l’uomo perfetto. Con lui abbiamo vinto il nostro ultimo Mondiale e solo Diego può insegnare come si porta quella maglia».

E l’uomo che non ama i conflitti cosa ne pensa dello sfogo di Maradona dopo la qualificazione ai Mondiali?

«Succede quando le pulsazioni vanno fuori giri, quando ti giochi tutto. E ognuno lì ha un suo modo di reagire e non può mascherarlo».

Milito andrà ai Mondiali?
«Me lo auguro. Aspettare è il mio forte, quindi io ci crederò fino in fondo».

Se potesse scegliere cinque persone famose da invitare a cena?
«Vorrei organizzare una tavolata di grandi sportivi: Michael Jordan, Roger Federer, Maradona vale per due e Francescoli. Il mio preferito».

Si è preso anche il suo soprannome.
«Sì, Principe. Lo porto con rispetto. Però questa storia della somiglianza non l’ho capita. Non mi somiglia per niente».

A che cosa non potrebbe mai rinunciare?
«Al mate argentino».

Il giorno più bello della sua vita?
«Quando è nato mio figlio Leandro»

E il più brutto?
«Quando hanno rapito mio padre, nel 2002. Non sapevo cosa significasse angoscia e per fortuna non cerco mai di ricordarmelo. É finita bene e non ne abbiamo mai più parlato».

Che cosa le manca dell’Argentina?
«Le persone, quel tipo di legami che costruisci quando sei ragazzo».

E le sue radici italiane le ha cercate?

«Non ancora, mi chiamano da Cosenza tutti i giorni e io ci devo proprio andare. Ma prima in programma c’è una visita a Venezia, l’ho promesso a mia moglie. Qualche anno fa».

Sezione: In Primo Piano / Data: Sab 07 novembre 2009 alle 13:18 / Fonte: La Stampa
Autore: Fabrizio Romano
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