Settimana con tante parole per Walter Mazzarri, al suo primo derby di Milano in carriera. Il tecnico toscano è stato intervistato anche dalla rivista Football Magazine.
Dopo quattro mesi di campionato, il mondo Inter è come se lo aspettava?
“Vista da fuori, la società Inter ha un fascino particolare e quando ho ricevuto la telefonata della dirigenza è stato un momento particolare. Quando ci metti poi il piede dentro, ci vedi subito la mano di Moratti dietro le strutture”.
E il paragone con Mourinho?
“Il paragone lo lascio agli altri, per me è impossibile trovare due allenatori uguali. Il modo di allenare rispecchia il carattere: io non amo troppo stare in prima pagina e ho sempre puntato sull'essere un bravo allenatore più che sull'apparire”.
Si nota un'attenzione particolare da parte sui ai conti della società. Ma il compito non è vincere sempre e a ogni costo?
“Ora un allenatore intelligente, in periodo di grande crisi economica, deve avere un rapporto onesto con la società. Possiamo parlare di psicologia, di organizzazione, di struttura, ma non si può prescindere dalla qualità dei giocatori che alleni per decidere gli obiettivi da raggiungere. Perché io insisto sugli ingaggi? Perché se un giocatore prende una cifra molto più alta di un altro è perché ha dimostrato di valere lo stipendio che ritira ogni mese. Se hai un tetto ingaggi, semplicemente non puoi prendere un top player. Poi c'è il lavoro dell'allenatore, che può essere più o meno influente. Ma i problemi tra tecnico e società arrivano quando c'è disaccordo sulla valutazione della squadra che allena. Se non fai capire questo concetto alla società fin dal principio, non puoi fare l'allenatore. E' da questa valutazione che poi si è in grado di verificare quanto ha inciso l'allenatore”.
Quanto è cambiato il suo credo calcistico negli anni?
“Penso di essere un tecnico moderno, mi aggiorno continuamente. Sono un maniaco della tattica: so insegnare tutti i moduli e poi scelgo quello che meglio si adatta rispetto ai giocatori che mi sono stati messia disposizione”.
Agassi diceva di odiare il tennis. A lei è mai successo di odiare il calcio?
“Sono nel mondo da 33 anni e non puoi odiare il calcio quando è così tanto tempo che ci sei dentro. Non puoi odiare qualcosa che ti ha dato tanto”.
Coach Lombardi diceva che vincere “non è la cosa più importante, è la sola cosa importante”. E' d'accordo?
“No. A me piace valutare la prestazione e ci credo davvero, non sono un paraculo. E so di essere solo, perché si parla sempre di risultato. Il calcio dovrebbe essere spettacolo, invece sembriamo schiavi del punteggio finale. A livello di cultura sportiva siamo gli ultimi. In Spagna o in Inghilterra è diverso, ti applaudono anche se perdi quando giochi bene o sei propositivo”.
All'Inter, c'è qualcuno che l'ha sorpresa? Qualcuno che non si aspettava fosse così forte?
“A parte Campagnaro e Taider, ho ereditato ragazzi che hanno chiuso la scorsa stagione. La rosa è rimasta quella. Osservando le ultime partite dell'anno scorso, mi ero fatto un'idea diversa. Alcuni giocatori invece sembrano trasformati. Abbiamo lavorato sulla testa, sul fisico, sulla tecnica, sulla tattica, su tutto: credo che quest'anno il tifoso stia vedendo un ottimo spettacolo. Io li citerei tutti ma, per esempio, Alvarez ha delle doti atletiche che non immaginavo. Jonathan delle qualità tecniche che non aveva dimostrato. Sorprese ne ho avute tante”.
Voeller dice che vince la squadra che ha più soldi nel campionato: è così?
“A Napoli mi dissero che questa regola è stata invertita sette volte in cento anni di Serie A. I risultati ottenuti vanno rapportati alla qualità delle squadre allenate. Quindi, 9 volte su 10 ha ragione Voeller. Però a me piace essere l'eccezione”.
La famiglia non l'ha mai seguita nei suoi trasferimenti: è valsa la pena rinunciare a tutto ciò?
“E' il rimpianto più grande. A me è mancato vivere da vicino certi momenti anche se, appena potevo, tornavo da mio figlio e cercavo di recuperare il tempo perduto. Diventavo un mammo, ma non potevo rinunciare ad una carriera che sentivo mia”.
Come si spiegano moduli tattici a giocatori dalla cultura mediocre?
“Il giocatore deve saper fare, l'allenatore deve saper far fare. Questa è la bravura dell'allenatore. Ci vuole molta tenacia e io le provo tutte”.
Esiste per gli allenatori vincenti il rischio di voler imporre a tutti i costi il proprio marchio per dimostrare di avere grossi meriti nei successi?
“No, ma è chiaro che qualche volta bisogna fare delle scelte perché non sempre un tecnico si può costruire la squadra come vuole. Spesso ci si deve adattare. Ok l'idea di base di modulo, ma se mi accorgo che i giocatori non sono adatti, lo cambio”.
La soddisfazione più grande e l'errore più grave?
“La soddisfazione fu far crescere nell'Acireale un ragazzo come Catani che veniva dalla Promozione e venderlo al Cosenza per un miliardo di vecchie lire. L'errore? In C2. Avevo promesso di guardare tutte le partitelle negli allenamenti di chi giocava meno, ma una volta mi intrattenni col presidente. Me lo fecero notare e mi scusai pubblicamente: un tecnico deve essere coerente”.
Quanto conta la fortuna nel calcio?
“E' una componente. Ma io ho basato tutto sul lavoro, che alla lunga paga”.
Guardiola minaccia di mettere alla porta chi spiffera notizie tecniche prima della partita e lo stesso accade al Milan per chi ritarda agli allenamenti.
“Io farei lo stesso all'Inter”.
Il giocatore più professionale che ha allenato?
“Tanti. Ne dico uno famoso: Hamsik. E uno meno famoso: Vigiani, non a caso oggi mio collaboratore”.
Ha cercato di capire chi fosse Thohir andando su Google?
“Non ho pazienza con i pc. Comunque le persone mi piace conoscerle dal vivo e non su Google”.
Mazzarri per che squadra tifa?
“Da bimbo per la Fiorentina, avevo il poster di Antognoni in camera. Da professionista, poi, si tifa solo per la squadra per cui si lavora”.
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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