Piace l'impronta che Walter Mazzarri sta stampigliando sull'Inter 2013-14. A tutti. Comincia ad intrigare persino coloro, non pochi, che sul nuovo mister avevano manifestato da subito perplessità da ancien régime pre tracollo. I primi giorni sotto la lente di ingrandimento degli osservatori più o meno professionali della causa nerazzurra hanno, appunto, ingrandito quei tratti che lo avevano reso agli occhi di scrive l'interprete giusto per attraversare il deserto di parecchi posti in classifica scavati da anni difficili di progressivo generale impoverimento, tra scantonamenti tecnici e tattici. Ci volevano certezze e ora paiono esserci. Occorrevano nerbo e perentorietà per declinare un'idea e, forse di più, una speranza che ci facessero rialzare la testa, ed è tutto ciò che stiamo vedendo. Rassicura, come detto, addirittura gli scettici, orfani inconsolabili della grandeur perduta. Che non avevano perso tempo a classificare il tecnico livornese secondo le stime che il calcio patinato ed autoreferenzialmente arrotolato su sè stesso profila per chi si è formato tra gavetta e provincia.
Inevitabile, insieme alla road map dei propri intendimenti per rigenerare il complesso che ha iniziato a dirigere, è arrivata la preventiva elencazione delle proprie benemerenze frutto di un recente passato che lo ha visto ottenere il risultato più oggettivamente riscontrabile nell'attività di un allenatore: ovvero il saldo- oltremodo positivo- tra il valore tecnico ed economico lasciato in eredità al Napoli rispetto a quello messogli inizialmente a disposizione. Ha parlato con pacatezza e sottovoce, ma volentieri, dei tanti casi di successo tra i giocatori alle sue dipendenze, premettendo così gli elementi base della sua mission interista e promettendo la valorizzazione del patrimonio umano che amministrerà. Coerentemente, non ha promesso miracoli e, frugando nelle proprie tasche, non ha estratto la vittoria di uno scudetto o gloria a profusione ma solo lavoro e cura dei particolari. Ha parlato di squadra da completare con la discrezione di chi è troppo attento a non farsi pestare i piedi per montare su quelli altrui.
Ma è chiaro che per dare vita a qualcosa che soddisfi le attese dell'ambiente -primi fra tutti gli oltre 15.000 innamorati indomiti che hanno già deciso di continuare a popolare San Siro anche nella prossima stagione- sarà cosa buona e giusta accontentarlo. Nei limiti, ovviamente, della particolare temperie finanziaria con cui è alle prese la società. Non chiede altro che pochi membri per rinforzare ma in maniera decisiva l'equipaggio con cui si avvia a salpare. Per questo siamo convinti che l'organico che uscirà dalla deadline del 2 settembre saprà offrirgli l'opportunità di far crescere la "cosa" nerazzurra. A costo di qualche sacrificio- forse Ranacchia?- a cui egli è evidentemente preparato nonchè pronto ad assumersene la responsabilità. La società ha provato fino all'ultimo a mettergli a immediata disposizione Nainggolan, il centrale di centrocampo per lui strategico e per questo convintamente inseguito, con un blitz pre ritiro e ci riproverà con decisione come per Isla, modulando necessità e buon senso. Non ha chiesto, da quel che si sa, top players o affini a differenza di quanto simpattticamente mormorato di recente dal Presidente Moratti, alludendo probabilmente ad una di quelle opportunità stellate che spesso nelle ultime fasi del mercato si propongono a chi si è attivato con sagacia ed anticipo per coglierle. E, per carità, se arriverà, lo accoglieremo come un regalo fuori sacco, lo scarteremo e ci lustreremo gli occhi. Purchè serva davvero, sia insomma funzionale al contesto e corrisponda al profilo di giocatore presumibilmente in grado di fare la differenza.
Una ciliegina, però, da posizionare a torta completata da ingredienti e assemblaggio. Un regalo sarebbe certamente quell'Alexis Sanchez che initterebbe nel tessuto connettivo dell'impianto in costruzione dosi consistenti di classe, adattabilità e capacità realizzativa. Continuiamo a pensare, per fermarci alle prime ipotesi formulate dai bene informati dopo le parole del Presidente, che invece con Ezequiel Lavezzi arriverebbe semplicemente un pacco e non cadeau per palati fini. Sappiamo da informazione di prima mano che nella scorsa primavera l'argentino è venuto a Milano per visionare appartamenti ed apprestare preliminari per un possibile prossimo soggiorno. Molto ingombro, ingaggio pingue -almeno i 5 milioni che già ora intasca a Parigi- e pochi gol. Lasciamo stare. Non facciamoci irretire dalla inesausta girandola di campioni presentati in questi giorni dai nostri ineffabili dirimpettai. Dopo il colpo El Shaarawy e la torre Vergara, bloccato provvisoriamente sul cavalletto Honda, inatteso, è arrivato in rossonero, con le fanfare naturalmente, anche un giocatore che, detto senza invidia, troviamo un po' in declino, rimpicciolito nelle qualità e privo di una vera identificazione tecnico-tattica. Ma, del resto, tale evoluzione era scritta nel destino di un calciatore che si chiama Robinho. Da loro vedrete che si ritroverà. Con serenità ma, soprattutto, rigore. Per il Milan, naturalmente.
Autore: Giorgio Ravaioli / Twitter: @Gravaioli
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