In tanti, troppi avevano dato per spacciata l'Inter già ad agosto. Si parlava di società allo sbando, di mercato deficitario, di rosa scombussolata, di allenatore poco pronto. Insomma, l'idea che in molti avevano dell'Inter era quella di una squadra destinata a una stagione di basso profilo, impossibilitata a giocarsi lo scudetto e a serio rischio figuraccia in Champions League. Ora siamo a dicembre e il campo dice ben altro. Non solo l'Inter è ancora lì a giocarsi il tricolore con Napoli, Milan e, perché no, Atalanta, ma ha superato anche il fatidico girone di Champions addirittura con una giornata di anticipo.

Che la situazione in primavera/estate fosse critica non era affatto una bugia, e l'abbiamo sottolineato spesso anche su queste pagine (prendendoci i consueti insulti). Ma, come ripetuto più volte, spesso il migliore è colui che riesce a tramutare l'emergenza in occasione, il problema in soluzione. Ed è proprio quello che ha saputo fare la dirigenza nerazzurra, capace di ammortizzare il colpo delle partenze pesanti e di mettere a frutto con idee e lungimiranza quel poco budget concesso dalla proprietà. Proprietà che, sia chiaro, continua anche oggi a non attraversare un momento brillante. Come ripete Beppe Marotta: "Nel calcio non sempre vince chi più spende". Ed ha ragione da vendere. La scelta principale, quella che poi ha innescato tutto il resto, è stata quella di puntare su Simone Inzaghi. Una volta capito che Allegri sarebbe tornato a Torino, i nerazzurri sono andati dritti sul tecnico piacentino, intuendo quanto bene avrebbe potuto fare a Milano con questo materiale umano. Al di là dei risultati, che sono sotto gli occhi di tutti, bisogna sottolineare l'eccellente impatto avuto dall'ex Lazio, arrivato in punta di piedi nella casa dei campioni d'Italia. Inzaghi ha saputo intercettare le esigenze - comuni e particolari - di una squadra con il tricolore sul petto, ma anche con qualche lecita incognita dopo un'estate tumultuosa. In modo molto intelligente, ha inizialmente ricalcato il lavoro dei suoi predecessori per poi, pian piano, instillare le sue idee. E così è sbocciata la sua Inter. Non ancora totalmente, ma la mano dell'allenatore si vede eccome.

Il suo è stato un lavoro certosino, da artigiano della panchina. E lo si nota anche dalla valorizzazione e dalla crescita di alcuni singoli. Ma fa sorridere il continuo raffronto con il recente passato, accompagnato sovente dalla consegna di ideali patenti di tifo. Come se riconoscere quanto fatto da Conte, e ancora prima da Spalletti, non possa convivere con l'elogio al presente di Inzaghi. L'Inter di oggi parte da lì, dal biennio con in panchina l'attuale allenatore del Napoli. Un processo di crescita che si era interrotto con l'addio di Mancini e che era ripartito proprio portando Luciano a Milano. Compatibilmente con le possibilità economiche e senza dimenticare di contestualizzare, Spalletti ha restituito all'Inter prima di tutto una dignità italiana e poi le ha conferito anche un certo spessore europeo, che solo chi è in malafede o chi è poco avvezzo all'analisi calcistica non sa riconoscere. Conte ha modellato la squadra a sua immagine e somiglianza, ma le basi spallettiane sono state l'impalcatura sulla quale si è costruito la squadra che prima ha raggiunto un secondo posto e una finale europea e che poi ha trionfato l'anno scorso in Serie A sbaragliando la concorrenza. Adesso è il turno di Inzaghi, che ha ereditato un gruppo vincente, ma con qualche problema. Finora l'innesto sta riuscendo anche grazie all'intelligenza sia calcistica che umana del piacentino. Le patenti lasciamole da parte.
Sezione: Editoriale / Data: Mar 30 novembre 2021 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni
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