Il dado è tratto. Nella guerra civile che si sta combattendo nella stanza dei bottoni del calcio italiano tra il partito fedele alla scienza e quello religioso che crede nel Dio denaro, Gabriele Gravina ha attraversato idealmente il Rubicone prospettando la ripresa della Serie A in un tempo indefinito e in un luogo che non sia il Nord del Paese.

Insomma, stando alla visione del numero uno della Figc, in un modo o nell'altro la stagione 2019-2020 va portata al traguardo con tutte le precauzioni del caso e in massima sicurezza. Il problema, semmai, è come garantire le suddette condizioni, dato che un protocollo sanitario con le linea guida per la ripresa non è stato ancora messo nero su bianco: il documento, in fieri, prevede una serie di prescrizioni e raccomandazioni per l’individuazione e la conservazione di un 'gruppo squadra' formato, oltre che dai calciatori, anche dallo staff tecnico, dai medici, dai fisioterapisti, dai magazzinieri e dal personale più a stretto contatto con i calciatori, che risulti completamente ‘negativo’. Nelle idee della Commissione medico scientifica della Federcalcio, presieduta dal Prof. Paolo Zeppilla, si raccomanda il ritiro chiuso almeno per il primo periodo di allenamento (modello preparazione estiva) con la sorveglianza del medico sociale e/o del medico di squadra e preceduto da uno screening (72-96 ore prima di iniziare) a cui si dovrà sottoporre tutto il ‘gruppo squadra’. Tali indagini prevedono, oltre all’esecuzione del test molecolare rapido e del test sierologico (con la tipologia che sarà indicata dalle autorità competenti), un’anamnesi accurata, una visita clinica (valutazione degli eventuali sintomi e misurazione della temperatura corporea) ed esami strumentali e del sangue. Il tutto eseguito a tre velocità: priorità alla Serie A, per poi proseguire con Serie B e Serie C. Il luogo per l’allenamento – precisa la Figc - deve essere ovviamente sanificato (intendendo per luogo sia il Centro Sportivo sia le palestre, gli spogliatoi e gli alberghi qualora i club non abbiano una propria sede per il ritiro). Il protocollo poi si incentrerà nella gestione del ritiro con attenzioni specifiche alle varie attività di allenamento e sull’organizzazione per l’impiego delle diverse strutture, compresa la sala medica e fisioterapica.

In questo contesto, per quanto teoricamente si possa creare una bolla dentro la quale contenere tutte le persone che lavorano per mandare avanti il carrozzone per più di 120 partite, non è impossibile che – per la legge dei grandi numeri - qualche giocatore contragga il virus condizionando il calendario delle partite. "Ho avuto un giocatore che era stato dichiarato prima positivo, poi negativo e poi ancora positivo dopo che ha ripreso ad allenarsi a casa", ha raccontato Claudio Ranieri, tecnico della Sampdoria, lunedì scorso a Radio Rai 1. Per quanta cautela si possa usare, i rischi non possono essere scongiurati al cento per cento. E, in ogni caso, per scrivere per forza di cose la parola fine su questa annata maledetta, è necessario calpestare il principio fondamentale che regola ogni manifestazione sportiva: la garanzia che tutti competano a pari condizioni. Un concetto che fluttua nell'iperuranio, lontano milioni di chilometri dal massimo torneo tricolore che col tempo è diventato una copia sbiadita di se stesso, tra rinvii e gare a porte chiuse decisi senza un criterio univoco. Campionato falsato, in due semplici parole, che continuano a ricorrere per ammonire che quello che vedremo sarà una propaggine poco autentica di quello che sarebbe dovuto essere. Non è un caso che – secondo quanto raccolto da La Repubblica - la Lega Calcio, durante l'ultimo Consiglio tecnico, ha aperto all'ipotesi di uscire dallo standby facendo giocare le semifinali di ritorno di Coppa Italia.

Ad ogni modo, ad ascoltare gli esperti, è sconsigliabile far rotolare di nuovo il pallone a breve: "Credo che, purtroppo, un campionato di calcio in questo momento, con gli stadi aperti e con un’epidemia in corso, sia inverosimile…", ha sentenziato Pierpaolo Sileri, vice ministro della Salute. Facendo eco a Giovanni Rezza, direttore del dipartimento Malattie Infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, che, dopo aver svestito i panni del tifoso romanista con una battuta evitabile, ha illustrato in conferenza stampa il suo punto di vista sulla vicenda: “Il calcio è uno sport che prevede contatti e il rischio di trasmissione c'è. Ho letto di protocolli sanitari particolari e mi sembra un'ipotesi un po' tirata. Se dovessi dare un parere adesso non sarebbe positivo. Poi è la politica a decidere. Questo è un mio parere personale".

Ecco, un 'parere personale', uno dei tanti in un fiume di parole che si sprecano in mezzo a un deserto di fatti. Perché la verità è una sola: nessuno sa cosa fare né vuole prendersi la responsabilità di agire in uno scenario nel quale ogni atto che non rispetti la legge della prudenza produce contagi e, quindi, morti. Il mondo è in uno stato di paralisi tremendo, in cui fare previsioni sul futuro non suffragate da dati scientifici è da incoscienti. Lo ha capito da tempo Gianni Infantino, presidente della Fifa, numero uno del calcio mondiale, che giusto martedì ha ribadito un concetto semplice: "La nostra prima priorità, il nostro principio, quello che useremo per le nostre competizioni e incoraggiamo tutti a seguire è che la salute venga prima di tutto. Non lo sottolineerò mai abbastanza. Per nessuna partita, nessuna competizione e nessun campionato vale la pena rischiare una singola vita umana Tutti dovrebbero avere questa cosa in mente molto chiaramente. Sarebbe più che irresponsabile forzare la ripresa delle competizioni se le cose non sono sicure al 100%. Se dobbiamo aspettare ancora un po' dobbiamo farlo. È meglio aspettare un po' più a lungo che correre rischi".

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Sezione: Editoriale / Data: Gio 16 aprile 2020 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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