Sarebbe bello poter tirare la classica riga sullo scempio visto allo Juventus Stadium e pensare alle giocate che domenica sera ci regalerà il Profeta Hernanes contro il Sassuolo, a un gran gol di Fredy Guarin tale da essere battezzato figliuol prodigo, al sospirato esordio dal primo minuto del promettente Ruben Botta. Sarebbe bello, ma al momento non ci riesco.  A Torino contro la Juventus l'Inter ha spesso rimediato brutte figure, ricordo che dal 1993 al 2001 la Beneamata conobbe solo sconfitte senza segnare a parte uno 0-0 nella stagione 94-95, realizzando un solo gol su rigore con Vieri nella stagione 2000-2001 e fu comunque un 3-1 per i bianconeri. Ma dopo Calciopoli e dopo il Triplete, mai si era vista una resa come quella di domenica scorsa.

Una resa iniziata nella testa e proseguita nelle gambe di giocatori apparsi impauriti, impacciati, intorpiditi, slegati. Per la prima volta è sembrato proprio che l'Inter non fosse più una "grande", almeno in teoria, come invece avveniva anche quando forse vestivano la maglia nerazzurra interpreti più scarsi (non tutti) di quelli attuali, ma che rappresentavano una squadra che vinceva sempre lo scudetto d'agosto, per noblesse oblige. Domenica sembrava invece che la Juventus affrontasse una medio-piccola con l'aggravante di non incappare nelle difficoltà che le medio-piccole riescono a presentare al cospetto del più forte, in termini di grinta e corsa. "Milano non è provincia", ha scritto lunedì un illustre collega sul maggiore quotidiano sportivo italiano. Chiaro il riferimento alle scelte di Walter Mazzarri, improvvisamente sul banco degli imputati dopo essere stato invece ritenuto il valore aggiunto ad inizio di stagione quando l'Inter vinceva le partite, non incassava gol e si muoveva con una identità ben precisa.

È un dato di fatto che i nerazzurri abbiano segnato e giocato con più disinvoltura quando, a risultato ormai compromesso, il mister abbia fatto entrare Ruben Botta, Milito e D'Ambrosio, avanzando quindi naturalmente il baricentro e costringendo così l'avversario a subire un tantino. La domanda sorge spontanea: perso per perso, non era meglio iniziarla con quell'atteggiamento tattico la gara, liberando la squadra da quella paura che sta diventando una prigione? Il grande allenatore, quando vede che il prodotto non cambia, inventa qualcosa, prova a scuotere puntando su chi ha voglia di giocare con entusiamo e freschezza. E invece il dogma, vedi difesa a tre con gli esterni che non attaccano più e il solo Palacio davanti, stremato e quindi con le polveri bagnate, sta generando in trasferta solo sconfitte e in casa pareggi contro squadre che solo contro l'Inter hanno vissuto la loro giornata di gloria.

E poi perché mettere sulla graticola pubblicamente Mateo Kovacic, talento purissimo, sicuramente inespresso finora, ma fragile caratterialmente e quindi non più in grado di tentare quelle giocate fatte di tecnica e accelerazioni che a questa Inter tristemente piatta servirebbero come il pane. Walter Mazzarri dice che basterà vincere una partita per svoltare. Erick Thohir, con un comunicato, blinda il tecnico considerandolo uno dei migliori su piazza con cui si è condiviso le ultime scelte di mercato. L'augurio è che le parole presidenziali spronino il mister a lavorare con la stessa serietà e impegno che ha sempre mostrato, ma con un pizzico di entusiasmo e creatività in più. Togliere il freno a mano, sciogliere le redini, osare anche a  costo di sbagliare. Contro il Sassuolo del milanista Squinzi, che sogna la vittoria al Meazza, sarebbe bello bissare il 7-0 dell'andata, ma visto il periodo ci accontenteremmo di vincere su autogol all'ultimo minuto. Sbagliare ancora sarebbe l'inizio della fine. Anche per Mazzarri.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 05 febbraio 2014 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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